Centrafrica: «Abbandonati alla nostra triste sorte»

Centrafrica: «Abbandonati alla nostra triste sorte»

Il Papa annuncia che aprirà la Porta Santa del Giubileo della Misericordia a Bangui. Intanto, dalla capitale centrafricana, arriva un appello-denuncia dei comboniani, la cui parrocchia è stata nuovamente assaltata

Mentre Papa Francesco annunciava da San Pietro che avrebbe aperto la porta Santa dell’Anno Giubilare nella cattedrale di Bangui, il prossimo 29 novembre – un segno forte  di vicinanza « a questa nazione così afflitta e tormentata» -, nella capitale della Repubblica Centrafricana i missionari comboniani, la cui parrocchia di Nostra Signora di Fatima è stata nuovamente attaccata la scorsa settimana, hanno trascorso la domenica riflettendo sull’accaduto e cercando di immaginare vie possibili e concrete di misericordia e riconciliazione.

«I responsabili dei giovani di Fatima, sfollati e impossibilitati a ritrovarsi in parrocchia – testimonia suor Elianna Baldi, missionaria comboniana che vive alla periferia di Bangui –  hanno passato tutta la domenica a casa nostra per condividere quello che stanno vivendo e per produrre Dénonciation des jeunes in cui esprimere la loro situazione e interpellare le autorità. In seguito incontreranno tutti i giovani per vedere che cosa possono fare».

La situazione in Repubblica Centrafricana è tesa ed esplosiva, come raccontano diversi testimoni interpellati da “Mondo e Missione” (vedi articolo uscito sul numero di novembre). Lo stesso Papa, all’Angelus, ha accennato alla sua visita in Centrafrica, precisando che si tratta di «un viaggio apostolico che spero di poter realizzare in quella nazione». A oggi, la cosa non è per nulla scontata. Anche se tutti in Centrafrica aspettano Papa Francesco come un miracolo.

«Sono spiritualmente vicino ai padri comboniani della parrocchia Nostra Signora di Fatima – ha aggiunto il Pontefice -, che accolgono numerosi sfollati. Esprimo la mia solidarietà alla Chiesa, alle altre confessioni religiose e all’intera nazione Centrafricana, così duramente provate mentre compiono ogni sforzo per superare le divisioni e riprendere il cammino della pace».

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La parrocchia di Nostra Signora di Fatima a Bangui

Ma al di là dell’impegno delle confessioni religiose – alle quali molti sul posto chiedono ancora più coraggio – non sembra che le autorità locali e le forze internazionali (la missione Onu Minusca  e quella francese Sangaris) stiano davvero facendo tutto il possibile per mettere fine a una crisi, che ha provocato quasi un milione di profughi e sfollati su una popolazione di cinque milioni e mezzo di abitanti. E più di quatto milioni di centrafricani oggi avrebbero bisogno urgente di aiuti umanitari.

«Esiste davvero un’autorità in questo Paese? – si chiedono i comboniani -. Quale ruolo giocano effettivamente queste diverse forze internazionali presenti in Centrafrica? E dov’è il ruolo profetico della Chiesa di fronte alla passività del governo e delle forze internazionali?».

In seguito al terribile attacco di giovedì 29 ottobre da parte di gruppi di giovani musulmani, infuriati e in cerca di vendetta per l’uccisione di due loro correligionari, la parrocchia ha rischiato nuovamente di essere saccheggiata e data alle fiamme. Solo la presenza delle forze dell’Onu ha impedito che accadesse il peggio, come già successo nel maggio 2014, quando furono uccise 18 persone, tra cui un sacerdote.

Per l’intera giornata ci sono stati scontri armati tutt’attorno, testimoniano i comboniani: «Poco dopo l’inizio dei combattimenti i militari dell’Onu hanno chiesto rinforzi, che tuttavia sono arrivati parecchie ore dopo. Secondo un ufficiale della Minusca alcuni veicoli dell’operazione francese Sangari, mal parcheggiati di fronte a una stazione di servizio, avrebbero impedito il passaggio delle forze delle Nazioni Unite in direzione della parrocchia di Nostra Signora di Fatima».

Un episodio che la dice lunga sul livello di collaborazione tra la missione Onu e quella francese. Ma anche sulla reale capacità (o volontà) di tirare fuori il Paese da questa spirale di violenza e caos in cui è sprofondato e di cui la popolazione civile paga il prezzo più alto.

Il racconto dei comboniani è agghiacciante: «Passando per il quartiere, un padre della parrocchia, insieme a qualche elemento della forza dell’Onu, ha potuto costatare le conseguenze dell’attacco: case incendiate, devastate, saccheggiate… Nella fuga, la gente non ha potuto recuperare tutti i corpi delle persone uccise. Le spoglie di un uomo sulla cinquantina sono rimaste in strada non lontano dalla scuola di Kina. I musulmani hanno occupato i quartieri che circondano la parrocchia e continuano sistematicamente a saccheggiare e incendiare le case. La popolazione civile è abbandonata alla sua triste sorte».