Lo Stato di Amapà in Amazzonia è emblematico dei mali che infieriscono sulla fragilità dei nuclei domestici: situazioni «irregolari» che escludono molti fedeli dalla vita della Chiesa, spiega suor Agnese Roveda
Da Macapà (Amapà, Brasile)
Non è una passeggiata, ma ne vale la pena. Il grosso pullman arranca sullo sterrato amazzonico, ma non si arrende. Dopo otto ore e un quarto i 300 chilometri che separano Macapá da Laranjal do Jari sono finalmente coperti. Risaliamo la grande foce del Rio delle Amazzoni nello Stato brasiliano più settentrionale di Amapá. Laranjal è descritta come antica terra di agricoltori e cercatori d’oro, avventurieri e poveracci, prostitute e pedofili (cioè i clienti delle dodicenni), imprenditori e missionari. Poco più in là però, nella nuova municipalità di Vitoria (separata da Laranjal nel 1997), appena prima che il fiume Jari si getti nel Rio delle Amazzoni, il panorama si arricchisce di elementi inconsueti. Sulle rive del fiume, tra gli Stati federali di Amapá e Pará, emergono dal verde della foresta e dall’azzurro dell’acqua due complessi moderni per la lavorazione della cellulosa e del caolino, materie basiche rispettivamente per la carta e la ceramica. Le ciminiere schiumano verso il cielo bava ora bianca, ora grigia ora molto nera, che va a depositarsi lontano, sulle case o sulla foresta a seconda della direzione del vento.
Incredibile la fisionomia asiatica dei giovani di Vitoria. È vero che gli indios hanno occhi a mandorla, che il Brasile è un miscuglio di razze e gli asiatici sono da sempre parte dell’equazione. Ma a Vitoria do Jari i conti non tornano. Conosco le fisionomie filippine, malesi, cinesi e qui ci sono troppi di quei volti. Ne parlo con suor Agnese Roveda (nella foto), milanese delle Missionarie dell’Immacolata (Pime), qui dal 2009. Mi indica la grande nave di fronte a noi, che sta caricando caolino: molti ragazzi di Vitoria sono figli occasionali degli equipaggi asiatici di passaggio e donne del posto.
Questo fazzoletto di terra amazzonica, con le sue dinamiche economiche capitaliste e transnazionali (i prodotti delle due fabbriche sono per l’esportazione), è diventato il distillato di tutto ciò che oggi infierisce sulla situazione già difficile della famiglia. Non solo gli equipaggi asiatici lasciano alle ragazze locali figli da crescere, ma le fabbriche stesse, senza alcuna preoccupazione, o forse proprio per favorirne la concentrazione e la produttività, trasferiscono spesso ad altre strutture produttive gli operai da poco assunti. «Puoi immaginarti le conseguenze lontano dalla famiglia per lunghi periodi – dice suor Agnese -. Gli sposi si disaffezionano l’uno all’altro e facilmente danno inizio a una nuova unione».
Le distorsioni e le prepotenze del moderno sistema economico e finanziario si innestano su ataviche fragilità. Le conseguenze sono un numero molto alto di gravidanze precoci, che costringono le ragazze a interrompere la scuola e gli adulti ad allevare i nipoti. In passato normalmente faceva seguito il matrimonio riparatore. «Ma non era una buona soluzione – dice ancora la missionaria -. La coppia in realtà non c’era, non era pronta. Molti di quei matrimoni si sono disfatti e i coniugi sono passati a una seconda unione spesso più stabile e matura con molte conseguenze sull’attività pastorale e la partecipazione alla vita della Chiesa».
Anche dalla remota località di Vitoria si guarda quindi con fiducia a qualche suggerimento dal secondo sinodo sulla famiglia in ottobre, «perché quando in una comunità una buona fetta degli adulti è bloccata nella partecipazione ecclesiale dalla propria situazione matrimoniale – dice un po’ sconsolata suor Agnese – le persone perdono molto del loro entusiasmo, si sentono sempre un po’ giudicate ed emarginate».
L’esercizio precoce e impulsivo della sessualità e le sue conseguenze sui giovani e sulla famiglia in genere hanno quindi molte cause: le scelte personali, la tradizione sociale e culturale, il clima, la promiscuità, le logiche insensibili della produzione e del mercato. Ma suor Agnese punta il dito anche contro i media commerciali e il governo. «Inutile farsi illusioni – dice -. Oggi è la telenovela a dettare i modelli di comportamento. Che sono ben noti. E la nuova frontiera è l’esercizio aperto e accettato della pratica omosessuale. Quando una cosa passa in televisione diventa comportamento diffuso». L’altra piaga è l’indifferenza del governo e della scuola, che se la cavano, senza successo, con la semplice diffusione e distribuzione dei condom. «Non serve a niente – ribatte suor Agnese -: i ragazzi non ci pensano neanche al preservativo».
Allora rimane il lavoro paziente della formazione, dei gruppi adolescenti e giovani nelle piccole comunità, della condivisione biblica: «Molte delle nuove Chiese evangeliche sono esigenti sulla morale sessuale. Impongono che i ragazzi si confrontino con i genitori e con la comunità. Accentuano le norme bibliche». I leader cattolici invece si danno da fare, ma appaiono deboli e pochi in queste periferie della storia. A Vitoria solo un anziano sacerdote, tre religiose, una fede popolare molto devozionale e intimistica, fatalista nei confronti della sfide del mondo moderno: famiglia ma anche difesa dell’ambiente, giusta retribuzione del lavoro, rispetto delle differenze culturali. Tutte sfide che, invece, sono ormai imprescindibili.