Il cibo che fa bene

Il cibo che fa bene

Buona cucina e integrazione. È il progetto dell’associazione Kamba che propone ai migranti corsi nell’ambito della ristorazione

 

Quando la cucina è buona in tutti i sensi: ottimi prodotti, grandi chef e speciali apprendisti. Il progetto Kamba – nato da uno dei tanti solchi di Expo Milano2015 che hanno dato frutto – oggi è un’iniziativa di “cucina solidale” nel segno dell’accoglienza e della creazione di nuove professionalità di alto livello. Che coinvolge un numero crescente di cuochi e cuoche africani e di giovani migranti e richiedenti asilo presenti nei centri di accoglienza di Milano e dintorni.

L’idea è nata appunto in Expo, dalla collaborazione tra un giovane affermato cuoco angolano, Luis Miguel – meglio conosciuto come chef Kitaba – e dall’allora responsabile degli eventi culturali dei cluster, Emanuela Vita, sociologa aperta al mondo e attenta al fenomeno delle migrazioni in Italia. «L’idea era quella di realizzare iniziative di ristorazione di alta cucina africana, coinvolgendo professionisti affermati come chef Kitaba – e il suo assistente Jose Duarte – e una “squadra” di richiedenti asilo», spiega Emanuela Vita. All’inizio, si è partiti con un primo gruppo di 21 profughi, ragazzi e ragazze, tra i 18 e i 25 anni, in gran parte africani.

Dopo un primo corso per operatore della ristorazione, i giovani migranti hanno avuto modo di mettersi in gioco nell’arco di una settimana dedicata alla cucina internazionale, con piatti tipici dei loro Paesi, ma anche con nuove “creazioni”: gelato e succo al baobab, platano con crema di arachidi, manioca e gamberoni al frutto della passione… Il tutto, proposto anche per catering, cerimonie, pranzi e cene ospitati in ristoranti, oltre che per eventi in abitazioni private, attraverso il format “Indovina chi viene a cena”, che porta nelle case dei milanesi i migranti e sulle loro tavole materie prime sconosciute come il baobab.

«Da quando abbiamo iniziato nell’aprile del 2016 – ricorda Emanuela Vita – abbiamo fatto molti passi avanti. Innanzitutto, Kamba è diventata un’associazione che realizza progetti di inclusione sociale, valorizzando le identità gastronomiche dei Paesi di origine dei migranti e, allo stesso tempo, rielaborando i piatti della loro cucina tradizionale per creare qualcosa di inedito e originale. La nostra idea – riflette – è che ogni integrazione debba passare dal recupero delle proprie radici e dalla loro trasformazione in qualcosa di nuovo, attraverso il dialogo con la società e la cultura di accoglienza. Un percorso di riscatto, insomma, che unisce la crescita personale alla solidarietà sociale».

Il progetto, unico nel suo genere in Italia, è stato riconosciuto anche con il premio “Micro-azioni per la creazione di un sistema alimentare locale più equo e sostenibile”, promosso dal Comune di Milano. Kamba si è inoltre aggiudicata il secondo posto al concorso mondiale del Cous Cous Fest di San Vito lo Capo (Sicilia).

Nel frattempo, il progetto si è arricchito di nuove qualificate presenza femminili. Si tratta, in particolare, di tre cuoche africane con esperienza internazionale. Elsa Viana è la più “quotata”: diplomata in alta cucina a Parigi, ha vissuto, lavorato e assaggiato cibi da Singapore a Bombay, da Londra a Sydney, dall’Europa alle Americhe. E poi Carla Guerra da Silva, pure lei originaria dell’Angola, ma cresciuta in Portogallo e quindi a Genova dove ha riscoperto la passione per la cucina prima all’Istituto Alber-ghiero Marco Polo di Genova e poi allo Squires Kitchen International School in Gran Bretagna, dove si è specializzata nel cake design. E infine, Victoire Gouloubi, della Repubblica Democratica del Congo: arrivata giovanissima in Italia, dove ha frequentato la scuola della Federazione nazionale cuochi a Feltre (Bl), si è perfezionata affiancando famosi chef stellati a Milano. Qui, nel 2014, ha aperto un ristorante che porta il suo nome, “Victoire” appunto.

Già queste tre donne portano, nelle loro storie personali e professionali, l’incontro tra mondi, culture e tradizioni diverse, rimiscelate e rivitalizzate grazie alla creatività personale, ma anche alla formazione e al confronto con altre realtà. Dimostrando, una volta di più, che il cibo – preparato o gustato insieme – può essere non solo uno straordinario strumento di incontro e conoscenza, ma anche un’opportunità di integrazione sociale e lavorativa.

Partendo da questi presupposti l’associazione Kamba ha moltiplicato l’organizzazione di corsi professionali che hanno coinvolto un numero sempre maggiore di giovani profughi e migranti. Attualmente sono una settantina e tra loro un numero crescente di ragazze, provenienti in particolare dalla Nigeria. Nel corso del 2016 ne sono sbarcate ben 11 mila in Italia. Molte di loro sono vittime di tratta e rischiano di finire nelle reti degli sfruttatori per la prostituzione coatta. Offrire loro delle occasioni formative e una prospettiva di lavoro significa sottrarle a un destino di schiave del marciapiedi. Sinora, i risultati sono stati incoraggianti. Dopo ogni corso, mediamente quattro ragazzi sono stati presi in stage o assunti in ristoranti milanesi.

«Grazie all’impegno e alla bravura di questi ragazzi – interviene Emanuela – siamo stati in grado di organizzare dodici cene e dieci catering, coinvolgendo oltre mille ospiti. Stiamo sviluppando anche un nuovo format per la formazione che, attraverso strumenti creativi, permetta agli alunni di esprimersi e imparare, mettendosi in gioco più velocemente. Inoltre, stiamo cercando di allargare il network di partner, beneficiari e attività in modo da essere sempre più integrati nella realtà milanese, e non solo». La prossima scommessa? Sono due, in realtà: sviluppare una linea di prodotti, dai biscotti al baobab alla crema di arachidi e manioca, oltre allo street food, che offre un contatto più diretto con le persone; e aprire un bistrot di alta cucina, creando un’impresa sociale gestita dagli stessi migranti .