Il problema vero sotto le foto virali dei bambini cinesi

Il problema vero sotto le foto virali dei bambini cinesi

Dalla piccola Zhang Jiaye malata di leucemia al «ragazzo di gelo»: dietro la mobilitazuione social in Cina il dramma di una potenza che guarda al mondo ma continua a non considerare la condizione dell’infanzia come una priorità

 

In Cina piovono donazioni a favore di una bambina di sette anni colpita da leucemia e autrice di una lettera accorata al padre che ha commosso milioni di lettori e di internauti. Al di là del suo caso pietoso, la vicenda di Zhang Jiaye ha evidenziato ancora una volta la condizione di povertà o di abbandono in cui si trovano troppi bambini e giovani. Un problema abitualmente sottostimato ma negli ultimi tempi evidenziato da diversi casi proposti dai mass media locali e ripresi anche all’estero.

Jiaye, che risiede in un villaggio della provincia nord-orientale di Heilongjiang, è affetta da leucemia e i 18 cicli di terapia da maggio 2016 hanno portato alla bancarotta suo padre, unico genitore a occuparsi di lei dopo l’abbandono da parte della madre successivo alla diagnosi del male. Nella lettera, la piccola ha sollecitato il padre a interrompere la terapia per garantirsi un poco di felicità e di riportarla a casa dall’ospedale dov’è ricoverata. Il suo messaggio accorato è arrivato ai mass media, che da settembre hanno iniziato a seguire le vicende della bambina e del padre, facendone esempi di coraggio e di dedizione. Mostrando anche i limiti del welfare ufficiale e delle famiglie cinesi davanti a necessità che per molti sono soverchianti.

Un altro bambino di sette anni impiegato per le consegne nella località di Changjiang in un tempo di temperature proibitive, è diventato l’involontario “protagonista” di un video reso disponibile il 14 gennaio da Weibo, l’equivalente cinese di Twitter (proibito in Cina). Video preceduto di pochi giorni dalle foto del piccolo Wang Fuman – studente delle elementari, otto anni – costretto a percorrere con temperature sottozero oltre un’ora di cammino per raggiungere la scuola. I suoi capelli incrostati di ghiaccio gli hanno portato il soprannome di “ragazzo del gelo”.

Infine, ancora più recente a sollecitare un gran numero di contatti sui social media, la vicenda di un bambino di quattro anni, abbandonato dai genitori emigrati per lavoro e affidato alla custodia dei nonni, mostrato in foto mentre – ormai dipendente – fuma sigarette sottratte nei negozi o mastica betel in un’area montana ad alta povertà rurale della provincia di Hunan.

Quella dei minori senza cure adeguate, costretti a immensi sacrifici per proseguire gli studi o abbandonati per necessità o disinteresse dalle famiglie, è una delle tante emergenze cinesi. La cura dell’infanzia non è prima tra le priorità ufficiali in un Paese che destina centinaia di miliardi di dollari agli investimenti all’estero ma arranca nel garantire benessere, diritti e uguaglianza all’interno. Le stime ufficiali parlano di oltre nove milioni di bambini in condizioni di difficoltà grave e la loro condizione sta suscitando preoccupazione crescente e anche reazioni.

Significativa quella di Jack Ma, a capo dell’impero centrato attorno al colosso dell’e-commerce Alibaba. Uno tra i più ricchi cittadini della Cina, ma soprattutto uno tra i suoi imprenditori più visionari. La soluzione di Ma sarebbe quella di partire dalle radici, dall’istruzione. Per questo suggerisce di fondere le scuole rurali con meno di 100 studenti – che si trovano in difficoltà a garantirsi insegnanti, spesso anche per il loro isolamento – e fornire le restanti di mense e di dormitori, diventando centri educativi ma anche assistenziali dal lunedì al venerdì. Un servizio di autobus garantirebbe agli studenti il trasporto settimanale. Alibaba ha già avviato un fondo di 1,5 miliardi di dollari per contrastare la povertà in Cina. Un’iniziativa già rilevante in sé, ma che potrebbe sollecitarne altre  simili da parte del numero crescente di miliardari locali, se adeguatamente supportati dal governo sul piano legale e fiscale.