Dati Istat e testimonianze raccontano di un’integrazione più articolata di quanto non venga rappresentata. E di una società molto più avanzata anche sul tema della cittadinanza rispetto alle leggi dello Stato
Niouma avrebbe dovuto acquisire la cittadinanza con la mamma senegalese; ma tra la presentazione della pratica e la sua accettazione è diventata maggiorenne e ne è rimasta esclusa. Ora deve ricominciare da capo e richiedere la cittadinanza autonomamente. Sara, che è nata in Italia da genitori sierralionesi, l’ha ottenuta grazie al padre, ma non suo fratello sempre per questioni di maggiore età. Evelyne non l’ha potuta avere perché non ha completato un ciclo completo di studi in Italia; i genitori l’hanno riportata in Ghana per qualche tempo e, rientrata in Italia, ha dovuto ricominciare da capo il conteggio dei dieci anni senza interruzione per presentare la domanda. Zeina, infine, è nata a Genova da genitori libanesi che avevano già la cittadinanza e dunque non ha avuto problemi. E non capisce perché altri ne debbano avere. «Un italiano è italiano! – dice convinta -. Il diritto o meno alla cittadinanza, così come è configurato ora, complica solo le cose. Anzi, crea conflitti là dove non ce ne sono». Fa l’esempio di un suo vicino di casa di origini nordafricane. «È nato e cresciuto qui, parla con accento milanese, ha sempre frequentato scuole italiane. Ma quando si è trattato di andare in gita all’estero, lui non ha potuto partecipare. Da quel momento i suoi compagni si sono accorti che era “diverso”». Ma diverso da chi?
La questione della cittadinanza ha acquisito negli ultimi tempi una forte rilevanza politica e una grande polarizzazione. Ma nella vita di tutti i giorni, l’integrazione di bambini nati in Italia o che hanno frequentato le scuole qui è molto più avanzata di come viene rappresentata. Anche i numeri raccontano di un Paese che si sta evolvendo rapidamente, recuperando un certo ritardo maturato nei confronti di altri Stati europei. Secondo la Fondazione Ismu, che ha diffuso una rielaborazione di dati su base Istat, le acquisizioni di cittadinanza sono aumentate velocemente nell’arco degli ultimi dieci anni: 35 mila nel 2006, 101 mila nel 2013, 130 mila nel 2014, 178 mila nel 2015, per raggiungere il numero di 202 mila nel 2016. Ovvero sei volte di più rispetto a dieci anni prima. Non solo, attualmente l’Italia è al primo posto in Europa per numero di acquisizioni di cittadinanza: seguono Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania e Svezia. «Dal 2013 in Italia – fa notare Fondazione Ismu – le concessioni di cittadinanza sono fortemente aumentate; un trend in controtendenza nell’area dell’Unione Europea in cui invece le concessioni di cittadinanza stanno diminuendo ». Nell’ultimo decennio i nuovi italiani sono quasi un milione, un po’ più maschi (51%) che femmine (49%), in gran parte con meno di vent’anni, soprattutto albanesi e marocchini, due comunità che hanno una presenza di lunga data nel nostro e una consistenza numerica di un certo rilievo. Sono soprattutto giovani di seconda generazione che diventano italiani a tutti gli effetti.
Niouma ha 18 anni e vorrebbe essere una di loro. Nata in Senegal è arrivata in Italia quando aveva cinque anni. «Ormai – dice – mi sento più straniera quando vado nel mio Paese di origine». Aveva veramente sperato di ottenere la cittadinanza quando la mamma ha presentato la domanda: «Abbiamo anche pagato per tutti e tre – dice un po’ delusa – e ora devo ricominciare di nuovo tutto da capo. Pagando un’altra volta. Spero che la cosa non vada troppo per le lunghe e che almeno mio fratello, che ora ha 17 anni, non esca pure lui dalla pratica della mamma». Tra scuola – frequenta il quarto anno delle superiori, indirizzo socio-sanitario – e lavoretti vari, il tempo per rifare tutta la documentazione è poco. La burocrazia italiana la scoraggia un po’. Per il resto, in Italia si trova bene. Nella piccola frazione di Nibionno, in Brianza, l’hanno vista crescere. A scuola, i compagni danno per scontato che sia italiana. «Neppure sanno cos’è lo ius soli », dice. In classe non ne hanno mai parlato. «C’è stata qualche polemica dopo gli attentati di Parigi e Bruxelles. Io sono musulmana, ho difeso la mia religione. Ma nella vita di tutti i giorni la mia origine o la mia appartenenza religiosa non rappresentano una causa di discriminazione».
Anche Evelyne Afaawua, 29 anni, non ha la cittadinanza. Per protesta. Nel senso che adesso potrebbe far richiesta, ma spera che passi la nuova legge per poterla ottenere automaticamente. «Sono italiana, lavoro e pago le tasse. Ho molti doveri e vorrei avere il diritto di essere naturalizzata». Evelyne è nata in Francia da genitori ghanesi. È arrivata in Italia quando aveva meno di un anno e ha frequentato tutte le scuole sino ai 12 anni, quando i genitori hanno deciso di rimandare lei e i suoi due fratellini in Ghana per quattro anni. «Quando sono tornata – dice – ho dovuto ricominciare tutto da capo. Come se i primi dodici anni vissuti qui non contassero nulla. Ho dovuto aspettare altri dieci anni per avere diritto a richiedere la cittadinanza. Nel frattempo non ho fatto la gita scolastica all’estero perché non ho ottenuto il visto in tempo; non mi è stato permesso fare il servizio civile; non ho potuto iscrivermi all’università in Inghilterra e Canada…». Evelyne ha comunque ottenuto un bachelor in International Economics and Management alla Bocconi di Milano, ma come studente internazionale. Dopodiché ha lanciato NappyItalia, una community che dall’idea di acconciature naturali promuove una nuova espressione di bellezza ma anche di identità afroitaliane. E ora pensa a una nuova start up innovativa, da lanciare il prossimo marzo: una linea di prodotti per capelli e per il corpo, rigorosamente made in Italy. Intanto, ha vinto numerosi premi, ha realizzato video ed è stata protagonista di un documentario Nappy Girls, realizzato con La27Ora e il Corriere della Sera. Roberto Saviano l’ha voluta al suo fianco, lo scorso ottobre a Milano, durante la presentazione dell’ ultimo libro: un esempio di “nuovi italiani” pieni di talento e di idee, di sogni e di concretezza nel realizzarli. E anche di grande consapevolezza. Come Sara, 22 anni, che è riuscita ad avere la cittadinanza attraverso il padre e si è impegnata moltissimo negli studi perché, dice, «nonostante le nostre origini non siamo per forza destinati a fare un istituto professionale », come qualcuno – anche tra i suoi professori – le aveva consigliato. Ora si sta laureando con una tesi sul tema dell’”altro” e della paura del diverso. «Perché se mi guardi forse non capisci che sono italiana; ma lo capisci dal mio modo di parlare, di pensare, dalla mia visione delle cose, dal mio modo di relazionarmi con gli altri. Sono italiana, anche se sono diversa. Come tutti». Chi ha paura di questi nuovi italiani?