La pesca ad Haiti sarebbe potenzialmente un’importante attività economica, ma è praticata in modo artigianale e ogni anno il Paese importa 12000 tonnellate di pesce dall’estero
Con i suoi 1700 km di costa, per Haiti la pesca è potenzialmente una delle più importanti risorse economiche. La realtà è purtroppo molto diversa: con 5000 tonnellate di pesce all’anno, i pescatori haitiani contribuiscono a meno di un terzo delle richieste nazionali, e ogni anno Haiti deve importarne 12000 altre tonnellate dall’estero.
Il problema non è, come in altre aree marine continentali, il sovrasfruttamento, anzi: le precarie imbarcazioni dei pescatori locali gettano le reti a poche miglia dalla costa, perché al largo non sono nemmeno in grado di arrivarci. Nella maggior parte dei casi i mezzi sono così precari che vanno a remi, o grazie a vele in plastica, e non permettono quindi di avventurarsi in mare aperto.
Non sono infrequenti, soprattutto nelle piccole località sulla costa, i pescatori che utilizzano delle specie di canoe: grossi tronchi svuotati nella parte centrale. Imbarcazioni che chiaramente non permettono di trasportare grandi quantità di pescato, anche perché, una volta rientrati al porto, ci si deve confrontare con un altro problema: come conservarlo?
Nel paese solo un terzo della popolazione ha accesso diretto all’elettricità; le aree rurali restano quelle peggio servite. In ogni caso l’energia elettrica non è quasi mai garantita 24 ore su 24, e solo i grandi alberghi e i ristoranti, frequentati soprattutto dai cooperanti stranieri, possono permettersi di avere dei generatori di corrente.
I pescatori devono accontentarsi di acquistare grossi blocchi di ghiaccio, che durano poco, sono molto costosi e a volte difficili da reperire. Non c’è da meravigliarsi: Haiti è ancora il paese meno sviluppato del continente americano, e occupa il 163° posto nella classifica dei 188 paesi del mondo, secondo l’UNDP, il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo.
Secondo dati della Banca interamericana per lo Sviluppo (BID), nella pesca sono occupati 77mila lavoratori a tempo pieno, ma la professione è praticata quasi sempre in modo artigianale. Tra i progetti della BID c’è proprio quello di migliorare le condizioni di lavoro dei pescatori, permettendo loro di guadagnare di più, di metterli in rete, di formarli perché conoscano tecniche di pesca adeguate, costruendo infrastrutture adatte alle loro esigenze e garantendo loro sussidi perché possano migliorare il loro equipaggiamento. I pescatori vengono coinvolti nel progetto per esempio chiedendo loro di contribuire all’acquisto, a costo bassissimo, di nuove barche in vetroresina, che permettono di navigare in maggior sicurezza.
A partire dal 2015 la BID ha previsto donazioni per 15 milioni di dollari in questo progetto, ma i fondi stanno arrivando con estrema lentezza, anche a causa delle difficoltà burocratiche e di organizzazione con le istituzioni locali. Impegnata in prima fila in questo campo c’è anche la cooperazione spagnola, in collaborazione con il Ministero per l’Agricoltura haitiano. Tra i suoi principali obiettivi quello di creare delle cooperative di pescatori, affinché migliorino la loro qualità di lavoro e quindi di vita. Tutti questi donatori puntano però ad una meta ancora più ambiziosa: con l’aumento della produzione e della distribuzione di prodotti nazionali, non solo verrà gradualmente meno la dipendenza dalle importazioni, ma soprattutto sarà più facile combattere la denutrizione nel Paese, in particolare nelle piccole comunità rurali.
Paradossalmente, queste ottime intuizioni faticano a sovvertire le tendenze, e stanno realizzando un cambiamento lento e limitato ad alcune realtà. Come tutti i progetti di cooperazione ad Haiti, anche questo risente della mancanza di infrastrutture e, soprattutto in questo caso, di elettricità. Il cui ruolo per la pesca è davvero determinante, se si vuole evitare che il pescato, diventato più abbondante, non marcisca perché non può essere conservato.