Siamo abituati a usare Whatsapp ma non certo per ragioni di vita o di morte, come invece succede in «Bury me, my love». Il videogame vincitore del Google Play Indie Games Contest, ispirato a una storia vera, costringe l’utente a mettersi nei panni di un marito siriano che – per aiutare la moglie ad affrontare un viaggio pieno d’insidie e permetterle di arrivare in Europa sana e salva – può solo scriverle in chat
Majd e Nour si amano e da qualche anno sono sposati, ma qualcosa li costringe alla separazione. Non è la trama di “Romeo e Giulietta” in chiave moderna, bensì il brogliaccio alle fondamenta del videogioco che si è aggiudicato il primo premio nella classifica dei giochi virtuali stilata da Google. Il colosso americano, infatti, ogni anno lancia un concorso al quale possono partecipare creativi e programmatori di videogame indipendenti, ovvero non finanziati da alcun editore.
Ad aggiudicarsi la medaglia d’oro del Google Play Indie Games Contest – premiati a Londra nel mese di febbraio – è stato quest’anno proprio «Bury me, my love» (demo), un videogame prodotto per iOS e Android da un’équipe francese che ripercorre la storia di due siriani alle prese con la guerra.
A Homs cadono le bombe e – alla perdita della sorella – Nour decide di di tentare il difficoltoso viaggio in Europa, mentre il marito Majd deve rimanere in città a curare la madre anziana. La separazione è dolorosa e per affrontarla i due decidono di comprare due smartphone per tenersi in contatto attraverso un’app di messaggistica istantanea, che permette loro – pur in una situazione estrema – di scambiarsi consigli di sopravvivenza.
Il giocatore di «Bury me, my love» deve indossare i panni di Majd e mandare alla moglie Nour messaggi d’incoraggiamento, foto e link utili: anche dalla qualità della conversazione tra marito e moglie dipende infatti lo svolgersi del viaggio della donna che, a seconda della partita, può incontrare più o meno ostacoli e concludere la storia in ben diciannove modi possibili.
In altre parole, le scelte dell’utente cambiano l’avvicendarsi degli eventi e questo fa capire bene quanto le situazioni in cui i migranti si trovano nella realtà siano complesse e spesso influenzate da particolari apparentemente insignificanti. Inoltre, anche se Nour aveva studiato sulla carta il suo viaggio, il percorso cambia e s’allunga: a seconda delle scelte che il protagonista prende, il videogame calcola i giorni trascorsi per mostrare il tempo (mesi ma anche anni) che un rifugiato può passare in viaggio.
Florent Maurin, designer e coautore del progetto, ha spiegato: «Lo sviluppo dell’app è durato circa 18 mesi dei quali i primi sei li abbiamo passati a leggere articoli, guardare servizi, raccogliere informazioni e storie sui migranti. Abbiamo messo insieme tantissimi aneddoti per raccontare una storia quanto più ricca di dettagli e veritiera possibile: così ogni punto della storia, ogni snodo del videogioco, seppur fittizio, è basato su eventi realmente accaduti».
«Bury me, my love» è quindi un gioco di avventura ma anche il racconto di una storia vera. Non solo perché il viaggio di Nour è rappresentativo di quello di molti migranti siriani che abbandonano la loro terra per trovare rifugio in Europa, spesso lasciandosi dietro gli affetti più cari, ma anche perché effettivamente il racconto si basa su un fatto realmente accaduto. Gli autori del videogame hanno specificato che il gioco s’ispira in particolare a un articolo pubblicato su Le Monde dalla giornalista Lucie Soullier e che racconta il viaggio di Dana, scappata dalla Siria per arrivare in Germania.
La giornalista ricostruisce le tappe del percorso di Dana proprio attraverso le sue conversazioni su Whatsapp, in cui la ragazza racconta gli ostacoli e gli stratagemmi che deve mettere in atto per proseguire. Persino il titolo del videogioco è preso in prestito dall’esperienza di Dana: «Bury me, my love» è un’espressione araba che si rivolge alle persone amate e che si può tradurre con «Abbi cura di te», ma anche più letteralmente «Ti amo, quindi voglio morire prima di te». E sono queste le ultime parole che la madre di Dana le dice prima della partenza, il 19 settembre 2015.
«A trasformare la sua storia in questo videogame – ha spiegato Maurin – è stata proprio Dana, che è stata felicissima di collaborare con noi. Quando ho letto l’articolo di Lucie ho subito pensato a quanto mi sarebbe piaciuto adattarlo in un videogioco. Era un modo di raccontare la storia facile da capire: usiamo tutti Whatsapp, ma non per ragioni di vita o di morte. Anche se non siamo attivisti e il nostro obiettivo non è quello di cambiare la mentalità delle persone, abbiamo notato che i migranti sono rappresentati nel loro insieme, come un numero. Con questo progetto, abbiamo voluto sottolineare che ogni migrante ha famiglia, amici e persone che si preoccupano per loro e che l’attesa e la preoccupazione che si prova durante il gioco è la stessa paura che la gente prova ogni giorno, nella realtà, per milioni di migranti che arrivano in Europa oppure muoiono nel viaggio verso questa terra promessa».