Fratel Ottorino Zanatta, 68 anni, è un missionario laico del Pime e fa l’agricoltore. Vive in Camerun, dove nel 2010 ha accettato la sfida di rendere produttiva una fattoria che si trova nell’Estremo Nord del Paese.
«Il mio lavoro è uguale a quello di milioni di contadini, con i quali condivido la fatica, la speranza e le incertezze. Tanto più qui in Africa, dove la maggior parte della popolazione è dedita all’agricoltura e dove le intemperie climatiche non possono essere corrette dalla tecnologia». Fratel Ottorino Zanatta, 68 anni, è un missionario laico del Pime e fa l’agricoltore. Vive in Camerun, dove nel 2010 ha accettato la sfida di rendere produttiva una fattoria che si trova nell’Estremo Nord del Paese. Un’area dalla quale i giovani fuggono per riversarsi nelle periferie delle grandi città, e che risente della situazione di insicurezza provocata dalle azioni della setta terroristica Boko Haram, che sconfina dalla vicina Nigeria. Piccolo di statura, sempre in movimento, fratel Ottorino è un laico consacrato che vive una spiritualità concreta e incarnata: «Al centro agricolo non porto certamente la tonaca – racconta -. I miei strumenti di lavoro non sono neppure il computer o internet, ma una forca per il letame e per la paglia e, quando necessario, un piccolo trattore per i lavori agricoli. Venire in Africa per fare l’agricoltore significa innanzitutto capire e condividere le difficoltà della maggioranza della popolazione, essere al loro fianco per dare loro un po’ di coraggio nel futuro. A volte è necessario anche soffrire con loro, perché non si sentano abbandonati».
La fattoria agro-pastorale di Foullouwayna esisteva già negli anni Duemila. Per circa dieci anni è stata poco valorizzata. Pochi sapevano cosa producesse e dove fosse situata, anche se era a soli dieci chilometri dalla città di Yagoua, al confine con il Ciad. «Nel 2010 mi sono staccato dalla missione di Zouzoui con il compito di rilanciare la fattoria e inserirmi nell’équipe composta da fratel Fabio Mussi del Pime e da Sara Baroni e Simonetta Redaelli, entrambe dell’Associazione Laici Pime, che lavorava nel Comitato diocesano delle attività socio-caritative (Codas-Caritas) della diocesi di Yagoua» spiega fratel Ottorino. In tutta la regione l’instabilità politica causata da Boko Haram si è ripercossa sull’economia. Il commercio di prodotti agricoli e animali con la vicina Nigeria, Paese molto popolato che importa derrate alimentari dal Camerun, è notevolmente rallentato. Inoltre, le ricorrenti epidemie di peste suina e aviaria hanno paralizzato le vie del commercio anche verso il Sud del Camerun.
«La prima impressione della fattoria è stata quella di trovarmi in un angolo abbandonato di savana con terreni prevalentemente sabbiosi e quasi sterili, pieni di cespugli, con tutte le strutture, dalle stalle per gli animali agli alloggi, fatiscenti ed incomplete – ricorda fratel Ottorino -. Bisognava quindi rimboccarsi le maniche e cominciare a pensare una struttura semplice e nello stesso tempo utile al miglioramento delle tecniche agricole e ai contadini». Fratel Ottorino ha iniziato con alcuni giovani dei villaggi vicini a rimettere in piedi la fattoria e, con il supporto del servizio dello sviluppo rurale e agrario del Codas, è riuscito a riportare in funzione gli allevamenti e a coltivare una superficie di circa dodici ettari. «Con me collaborano cinque persone a tempo pieno, responsabili di vari settori: porcilaia, stalle, piscicoltura, vivaio agro-forestale, pollaio e produzione vegetale – spiega fratel Ottorino -. Per i lavori stagionali come la preparazione dei terreni, lo sfalcio dell’erba, la semina e il raccolto, si fa ricorso a giovani dei villaggi vicini».
Dal 2016 la coltivazione dei dodici ettari di terreno è diventata più rapida grazie all’acquisto di un piccolo trattore cinese da 30 cavalli, che ha risolto il problema della carenza di mano d’opera e trazione animale proprio nei momenti cruciali dell’inizio delle piogge. «Ormai le piogge si limitano a soli tre mesi l’anno e in più non sono sempre regolari – fa notare il missionario del Pime -. Anche questo è un segnale allarmante: la natura lancia avvertimenti all’uomo che non rispetta più le leggi del creato». Il terreno è coltivato a cereali locali, miglio, mais, fagioli, manioca, riso e piante foraggere per l’alimentazione degli animali.
Un’altra sfida che la fattoria ha deciso di raccogliere è la lotta alla desertificazione. Sin dall’inizio è stato creato un vivaio di piantine di specie forestali, che è andato via via crescendo. «Nel 2013 abbiamo prodotto diecimila piantine di neems, un albero non spinoso originario delle Indie, l’anno successivo 30 mila, per arrivare nel 2017 a 45 mila piantine – afferma fratel Ottorino, che però ammette con rammarico che questa attività fatica a decollare -. I contadini hanno purtroppo altre priorità per nutrire la famiglia e non sono incoraggiati dalle istituzioni a piantare alberi. Non esiste di fatto la proprietà privata dei terreni, per cui chi ha piantato rischia di non poter beneficiare dei frutti del proprio lavoro. Inoltre, gli organismi statali sono rallentati dalla burocrazia e non ricevono i fondi necessari per l’acquisto delle piante».
Nella fattoria gli allevamenti occupano un posto importante. «Le stalle ospitano 35 bovini e 60 ovini e caprini – continua fratel Ottorino -. La porcilaia con i suoi 150 maiali la fa da padrona. I pollai possono accogliere fino a 1.000 galline. Infine, abbiamo dodici stagni che permettono di allevare migliaia di pesci». La fattoria è riuscita a innescare un’economia circolare, pur fra molte difficoltà, in una fascia predesertica del Sahel, dove da febbraio a maggio si superano i 42 gradi all’ombra. «L’obiettivo è l’autosufficienza e si spera che un giorno possa arrivare a produrre un guadagno – spiega fratel Ottorino -. Nonostante la minaccia di Boko Haram complichi la situazione, la fattoria sta offrendo un impiego lavorativo a una ventina di giovani capifamiglia. E questo non è poco. Un altro obiettivo fondamentale è la formazione dei giovani agricoltori, organizzati in cooperative con l’appoggio del Codas. Ogni anno circa cento giovani passano alla fattoria per impratichirsi di nuove tecniche agricole». Fratel Ottorino va avanti con ottimismo: «I piccoli miglioramenti che introduciamo tra la popolazione ci fanno sperare in un futuro migliore. Quando un agricoltore ha imparato a migliorare la propria terra utilizzando il concime organico dei suoi animali, ha acquisito molto più di una laurea. Ha guadagnato il diritto a sopravvivere alla fame. E questo è un grande risultato per lui e per la comunità».