A Port Moresby da domani l’assemblea della federazione delle Conferenze episcopali del Pacifico. Il cambiamento climatico, la protezione dell’ambiente, i rifugiati e i giovani i temi al centro della riflessione
Si apre domani l’assemblea quadriennale della federazione delle Conferenze episcopali del Pacifico con il tema Care for our common home of Oceania: a sea of possibilities («La cura della nostra comune casa d’Oceania: un mare di possibilità»). Per la prima volta l’evento ha luogo a Port Moresby, capitale della Papua Nuova Guinea. Nella conferenza stampa di presentazione l’arcivescovo della città e presidente della federazione per gli ultimi quattro anni, card. John Ribat, ha sottolineato che saranno quattro i temi principali all’ordine del giorno: il cambiamento climatico, la protezione dell’ambiente, i rifugiati, i giovani.
Sono parte della federazione tre conferenze episcopali più facilmente identificabili dal punto di vista geografico (Australia, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea con le Isole Salomone) e una quarta che comprende una quindicina di diocesi dalle Marianne, a sud del Giappone, alle isole Fiji e Tonga nel Pacifico meridionale. La popolazione di alcune di queste isole remote è già a rischio di abbandono della propria terra ancestrale a causa dell’innalzamento del livello del mare. Il fenomeno dei rifugiati per mutamento climatico verrebbe ad aggiungersi a quello già preoccupante degli sfollati per terremoti ed eruzioni vulcaniche anche recenti, soprattutto in Papua Nuova Guinea; e naturalmente a quello più noto, ma poco considerato, dei rifugiati politici, che presenta in Oceania caratteristiche particolari. Da una parte la fuga dalla provincia indonesiana orientale di Papua (ex Irian Jaya), etnicamente melanesiana, percorsa dalla fine della colonizzazione olandese (1963) da fermenti indipendentisti, dall’altra alcune migliaia di profughi africani, mediorientali ed asiatici confinati da anni dall’Australia sull’Isola stato di Nauru in Micronesia e su quella altrettanto remota di Manus in Papua Nuova Guinea. “Sono problemi che riguardano i governi – ha detto il card. Ribat in conferenza stampa –, ma non possiamo ignorare che molte di queste persone guardano alle Chiese per la soluzione del dramma, vengono a cercarci e noi dobbiamo prendercene cura”.
Preoccupa dal punto di vista della difesa dell’ambiente, oltre al taglio massiccio e indiscriminato della foresta vergine in alcune zone della Papua Nuova Guinea, il primo esperimento mondiale in assoluto di sfruttamento minerario sottomarino da parte della Nautilus canadese al largo delle isole orientali dello stesso paese. “Non siano contro lo sviluppo, anche noi siamo per la valorizzazione delle risorse e per offrire alla nostra gente delle possibilità di impiego e di guadagno – dice sempre il primo cardinale della Papua Nuova Guinea -, ma è quella della grande industria e delle multinazionali la via più conveniente e più sicura? Non sarebbe meglio pensare al turismo e alla trasformazione in loco delle risorse ittiche e vegetali? La terra e il mare dipendono l’una dall’altro. Non possono distruggersi a vicenda; così le creature dell’acqua e della terra ferma, noi esseri umani per primi”.
La convinzione dei vescovi cattolici del Pacifico è che l’Oceania sia stata poco presente finora nel dibattito e nella sensibilizzazione internazionale per la difesa dell’ambiente. Anche per questo sarà il Segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin, contestualizzando la lettera enciclica Laudato si’ (2015) di papa Francesco, ad aprire i lavori dell’assemblea, che si concluderà martedì 17 aprile; col passaggio di testimone per il prossimo quadriennio proprio dalla Conferenza episcopale di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone a quella delle isole minori del Pacifico.