Secondo i più recenti dati dell’Unicef sarebbero 12mila i bambini nepalesi oggetto di tratta verso l’India, in maggioranza destinati al suo immenso mercato della prostituzione, in parte destinati al lavoro schiavo, a matrimoni e persino all’espianto di organi
Non si arresta in Nepal il flusso di giovani donne, sovente minorenni, che collaudate reti di trafficanti continuano a “esportare” in India e da qui in parte verso altre mete regionali (Pakistan, Bangladesh) e internazionali (Paesi del Golfo persico, Cina…). Resta troppo facile il passaggio di un confine segnato precariamente soltanto da cippi e, in alcuni tratti, da filo spinato, ma non sigillato e reso ancor più poroso da corruzione e connivenze.
Il paradosso è che questa piaga si interseca con il dopo-terremoto che – se da un lato ha portato maggiore sensibilità verso lo sfruttamento – ha anche evidenziato i rischi connessi ai minori soli o ospitati nei campi in aree soverchiate dalla catastrofe, dove era più facile per i trafficanti rapire o acquistare da parenti o custodi temporanei giovani donne e spesso ragazzine per il mercato straniero.
Il sisma che ha colpito il Paese himalayano il 25 aprile 2015 è stato uno spartiacque per il Nepal. Non solo per le estese devastazioni, i quasi 9 mila morti e 22 mila feriti, lo strascico che ancora perdura di decine di migliia di sfollati a cui garantire esistenza e prospettive, ma anche per aver incentivato fenomeni già in corso connessi alla povertà e alla mancanza di prospettive, ma anche alla debolezza delle strutture di protezione. Il tutto nel quadro di una democrazia debole e conflittuale, inefficiente per la litigiosità delle parti politiche che si è estesa anche alla gestione dell’emergenza, sicuramente meno efficace di quanto sarebbe stato possibile dato l’enorme sostegno internazionale.
La politica finora attuata delle “frontiere aperte” tra Nepal e India – da quest’ultima incentivata per ragioni commerciai e di controllo del fragile vicino per impedirne il passaggio nella sfera d’influenza strategica cinese – ha un suo fascino e un suo significato dati i legami storici, culturali e religiosi tra i due Paesi e consente migrazioni stagionali di lavoratori, ma rende pressoché impossibile un controllo dei traffici transfrontalieri.
Secondo i più recenti dati dell’Unicef sarebbero 12mila ogni anno i bambini nepalesi oggetto di tratta verso l’India, in maggioranza destinati al suo immenso mercato della prostituzione, in parte destinati al lavoro schiavo, a matrimoni e persino all’espianto di organi. Ragazze di 15-16 anni costrette a intrattenere fino a 15 clienti al giorno per ripagare il debito contratto con i trafficanti e con i gestori dei bordelli, con una prospettiva di 5-10 anni di sostanziale reclusione e senza possibilità di affrancamento.
Una situazione che ha spinto ad aviare iniziative individuali e collettive di sostegno, con qualche risultato, come l’iniziativa della Ong nepalese Maiti, che ha ottenuto il permesso di operare in un dozzina di località frontaliere e di denunciare alle autorità i casi di traffico di minori di cui viene a conoscenza.
Nella foto: una manifestazione contro la tratta promossa dall’ong nepalese Maiti