Nella mensa della Missione di Speranza e Carità sono pronti ad accogliere il 15 settembre Papa Francesco. Che incontrerà fratel Biagio Conte e gli ospiti di questo luogo dove nessuno è straniero
La cattedrale dei poveri ha una macina come altare, un rotolo di marmo per proclamare la Scrittura, un torchio come basamento per il crocifisso del Madagascar, le due mani di Cristo che si aprono nell’abside per diventare tabernacolo. La cattedrale dei poveri sorge in via Decollati, sulle sponde dell’Oreto, dove da anni la Missione di Speranza e Carità fondata da Biagio Conte accoglie circa 700 migranti di ogni provenienza geografica. In un capannone dell’ex caserma aeronautica abbandonata dove non c’era neppure il tetto, ora ci sono il soffitto ligneo, il pavimento di marmo, otto tele con la vita di Gesù dipinte da Bekir, tunisino musulmano ex ospite della Missione, la Via Crucis scolpita da Nanà del Ghana, i mosaici realizzati dai ragazzi con la sindrome di Down di Comiso, le opere di Misericordia nelle vetrate che raccontano che nessuno è straniero nella chiesa consacrata come “Casa di preghiera per tutti i popoli” e diventata una delle quattro Porte sante della diocesi di Palermo in occasione del Giubileo della Misericordia.
È proprio Bekir, 48 anni, a dare in poche parole il senso di questo luogo. Il primo incontro è accaduto alla fine degli anni Novanta quando, dopo alcuni problemi con la giustizia e una condanna, è riuscito a scontare proprio all’interno della Missione la pena alternativa al carcere.
«Da subito mi colpì un fatto – racconta -: io ero musulmano, ma sono stato accolto con generosità da molti cristiani presenti, che non facevano troppo caso ai guai che avevo combinato in precedenza. Fratel Biagio poi mi chiese cosa sapevo fare e io risposi che ero pittore». Bekir ha dipinto di tutto, dalle ringhiere alle pareti. «Sono rimasto alla Missione per otto anni, finché non sono tornato di nuovo a essere un libero cittadino. Ma nel frattempo la mia vita era radicalmente cambiata; avevo assaggiato il sapore dell’accoglienza, dell’amicizia gratuita, la possibilità di sentirmi prezioso per qualcuno».
Come una vera città, la Missione di via Decollati ha un viale alberato, la chiesa, i padiglioni in cui dormire, una piccola infermeria, un panificio che sforna 220 chili di pane, una lavanderia, un laboratorio di falegnameria e uno di carpenteria, dove si riparano porte, finestre e si realizzano arredi. C’è anche un ospedaletto in costruzione, che da solo offre il senso della Missione: un cartello recita “Progetto finanziato dalla Provvidenza: da tutti i cittadini di buona volontà”. Ecco chi ha contribuito a mettere pietra su pietra: istituzioni e semplici cittadini, grandi aziende e povera gente, professionisti che hanno tolto giacca e cravatta e aiutato a rendere la Missione un diamante bello e prezioso. Già dalle prime ore del mattino il centro delle attività in via Decollati è la cucina, attigua all’enorme sala mensa donata da Enel Cuore.
È lì che il 15 settembre Papa Francesco siederà a pranzo con una rappresentanza degli ospiti della Missione, in occasione dell’attesa visita a Palermo per il 25° anniversario del martirio di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia.
«Attenzione, però, la Missione non è frutto solo delle mie capacità, ma c’è qualcosa di prezioso che accade dall’alto; non si vede a occhio nudo, ma si sente, si percepisce, si vive. Questa è la forza del buon Dio che muove la tua e la nostra volontà, la tenacia, la pazienza, la speranza» ripete incessantemente Biagio Conte, il missionario laico che da oltre 25 anni accoglie migliaia di “fratelli ultimi” – chi vive ai margini, chi non ha più nulla – donando loro un’altra occasione. È un lungo percorso quello che lo ha portato a mettere in piedi una realtà di accoglienza che oggi ospita circa mille persone, in tre strutture attorno alla Stazione centrale di Palermo, dove tutto cominciò all’inizio degli anni Novanta, quando il giovane figlio di imprenditori entrò in crisi e sentì dentro di sé la chiamata a vivere povero con i poveri.
La storia di Biagio si incrocia con quella di tanti personaggi palermitani. Anche con don Puglisi, proprio il giorno in cui il parroco di Brancaccio – oggi beato – è stato ucciso. La mattina del 15 settembre 1993 si ritrovarono in Comune per perorare due cause diverse in difesa dei piccoli e di chi è in difficoltà. Don Pino chiedeva la scuola media per Brancaccio; Biagio chiedeva l’utilizzo del locale di via Archirafi conteso da Comune e Asl, per realizzare la Missione. «All’uscita ci salutammo e io gli chiesi di pregare per me», ricorda fratel Biagio.
Non ci sono ansia e premura nei gesti, nelle parole, nelle azioni di Biagio Conte, così come in quelli di padre Pino Vitrano, delle sorelle e dei fratelli volontari che condividono l’amore preferenziale per gli “ultimi”. Non c’è fretta, non c’è attivismo, perché tutto parte dall’ascolto della Parola, dalla preghiera e dalla partecipazione all’eucaristia quotidiana. Da questo nutrimento spirituale scaturiva anche la carità operosa di una santa come Madre Teresa di Calcutta. E alla Missione di Speranza e Carità non è diverso. Fratel Biagio, col saio verde e il capo coperto, ascolta tutti coloro che bussano a quella porta, uno per uno. Li fissa con i suoi occhi azzurri e trova per ciascuno una preghiera, una frase, un passo del Vangelo, una parola di conforto, che diventa poi aiuto concreto.
Non solo Palermo, però. Biagio Conte è partito in pellegrinaggio, con la croce sulle spalle, lungo le strade della Francia per portare un messaggio di pace, amore e conversione. Ha attraversato prima tutta l’Italia, ha incontrato Papa Francesco. Poi è tornato a Palermo e, nel gennaio scorso, ha coinvolto l’intera città in dieci lunghissimi giorni di digiuno sotto il colonnato delle Poste centrali di via Roma, seguiti da un intenso periodo di preghiera in montagna, per tentare di sensibilizzare le coscienze di ogni cittadino e di ogni istituzione perché i poveri, i senzatetto, i disoccupati siano al centro dell’azione personale e politica di ciascuno. Un messaggio diretto a tutti: «Non adeguarsi al ritmo di una società consumistica che rende schiavi e che aumenta l’egoismo e l’indifferenza verso il prossimo soprattutto quello più sofferente».