Nella capitale filippina, il Pime ha conosciuto alcune delle situazioni più difficili negli anni della dittatura e diversi missionari sono stati espulsi
Quando il vescovo locale, mons. Pedro Bantigue, (nella foto con padre Bonaldo) chiamò i missionari del Pime a Santa Cruz (capitale della provincia di Laguna, una realtà difficile anche per motivi politico-sociali) lo fece perché voleva ridare forza e visibilità alla Chiesa nella città più importante della sua diocesi. Santa Cruz (a 120 chilometri da Manila) aveva allora circa 60 mila abitanti, 40% dei quali cattolici “romani” e 60 % “aglipayani” (ossia seguaci di una Chiesa cattolica indipendente fondata da Gregorio Aglipay). Ma la maggioranza non frequentava alcun luogo di culto: le persone colte si erano allontanate dalla pratica religiosa, le masse popolari praticavano un cristianesimo fortemente superstizioso. Pur essendo sulla carta un contesto “cattolico”, occorreva un’evangelizzazione in profondità. Ed è ciò a cui si dedicano i primi missionari del Pime: organizzano il catechismo, il consiglio parrocchiale, stimolano i laici all’impegno, introducono una liturgia partecipata, “purificano” le chiese dalla marea di statue e immagini sacre. Non solo: accortisi che i cattolici, arroccati in centro città attorno alla monumentale chiesa di origine spagnola, lasciano agli “aglipayani” le periferie, i missionari decidono di impegnarsi nelle opere sociali per i più poveri: distribuzione di cibo e medicine, centro medico di assistenza gratuita, banca popolare con 500 soci, sostegno alle famiglie per mandare i bambini a scuola. Tutte iniziative che suscitano il caloroso sostegno popolare, ma destabilizzano i fedeli più “vicini”.
A Santa Cruz, il Pime introduce, fra l’altro, il sistema delle comunità di base. Padre Peter Geremia, arrivato nelle Filippine il 21 agosto 1972, scrive: «A Santa Cruz non volevo limitarmi alla gente del centro, la cosiddetta poblacion, ma raggiungere anche i villaggi periferici, i barrios. Chiesi a dodici uomini di buona reputazione di costruire un “gruppo apostolico” per programmare e pregare insieme, preparare la liturgia domenicale da condividere poi con le comunità periferiche. Non le chiamavamo ancora così, ma di fatto erano le prime “comunità cristiane di base”, che poi si sarebbero diffuse soprattutto al Sud, nell’isola di Mindanao. La legge marziale impedì purtroppo uno sviluppo di questa metodologia, perché gli individui più attivi venivano immediatamente accusati di sovversione ed arrestati.
Santa Cruz fu per me il battesimo di fuoco, in un contesto ecclesiale e sociale di scontro radicale fra una tradizione di facciata e interessi costituiti, da una parte, e necessità di cambiamento e di autentica vita cristiana, dall’altra». Quando, nel 1977, la parrocchia di Santa Cruz è stata riconsegnata alla diocesi, si può dire che fosse stata completamente rinnovata.
Anche negli anni di presenza a Tondo, nel cuore della capitale filippina, a dir poco tumultuosi, il Pime lascia il segno. La zona lungo il litorale di Manila era una sterminata distesa di baracche con oltre 300 mila abitanti (pure oggi rimane un’area molto degradata). La parrocchia antica di Tondo era stata istituita al tempo della colonia spagnola; nel 1970 vengono iniziate due nuove parrocchie, una affidata agli agostiniani e una al Pime, quest’ultima eretta nel “blocco” più povero di Tondo e intitolata a San Pablo per ricordare la visita di Paolo VI a Manila nel novembre di quell’anno. I primi due “pimini” a essere destinati a Tondo furono i padri Bruno Piccolo e Joseph Vancio, che sbarcano nel gennaio 1971. Iniziano a visitare la gente, prendendo contatto con la miseria dei baraccati: una povertà resa indegna da sporcizia, denutrizione, delinquenza e una violenza endemica. Le catapecchie erano ammassate l’una sull’altra, senza strade, fognatura, acqua corrente, parchi o campi da gioco. Inoltre, gli abitanti (o occupanti), ossia gli squatters, sentivano su di sé tutto il disprezzo degli altri, col risultato di vivere nella rassegnazione e nel fatalismo. Una situazione veramente missionaria.
Anche a Tondo il popolo è diviso in vari gruppi, ciascuno dei quali tenta di “accaparrarsi” la Chiesa e i preti. I missionari scelgono i poveri, si impegnano ad aiutarli cercando di coinvolgere tutti i fedeli. Nasce la Zoto (Zone One Tondo Organization) che svolge azione di animazione e di aiuto, un’organizzazione che si estende a varie parrocchie, tra cui quella del Pime. Attraverso gli “organizzatori di comunità” si cerca di orientare i fedeli verso la solidarietà e la collaborazione per progetti comuni. Nel luglio 1973 nasce il consiglio pastorale della parrocchia con vari comitati: catechesi, liturgia, carità, ma anche quelli dediti ai problemi sociali (acqua, scuola, sanità, elettricità, ecc).
La Zoto e la parrocchia del Pime incominciano a dare fastidio. Con la legge marziale, introdotta da Marcos nel 1972, era diventato facile accusare i missionari stranieri di istigare la gente contro le autorità, tanto più che la parrocchia di San Pablo estende il suo influsso anche ai molti che in chiesa non ci vanno e fuori dei suoi confini territoriali.
Nel 1974, i cento membri del consiglio parrocchiale si incontrano con rappresentanti di altri gruppi di baraccati, dando vita al Consiglio delle comunità cristiane, con struttura totalmente democratica (anche il parroco, padre Gigi Cocquio, ne fa parte, a parità con gli altri). Il 27 novembre 1974 le tre zone di Tondo organizzano una marcia di protesta alla quale partecipano cinquemila persone: padre Cocquio viene fermato per alcune ore dalla polizia con padre Vancio. Nell’ottobre 1975, un altro episodio eclatante: viene proclamato uno sciopero alla distilleria “La Tondena” nella parrocchia di San Pablo (dove lavoravano 800 persone, di cui solo 300 regolarmente assunte) e il Consiglio della comunità cristiana di Tondo interviene in appoggio ai lavoratori.
Di lì a poco, la goccia che fa traboccare il vaso e costringerà il Pime a lasciare Tondo, dove, nel frattempo, a padre Cocquio si erano uniti i padri Francesco Alessi, Peter Geremia e Albert Booms. Nel dicembre 1975, la Banca mondiale approva un progetto di bonifica della baraccopoli di Tondo, a seguito del quale cominciano la demolizione della baraccopoli e l’espulsione degli squatters dal quartiere. Nel gennaio 1976, i baraccati di Manila si riuniscono nel Comitato dei poveri contro la demolizione: venti loro rappresentanti, accompagnati da quattro vescovi, vengono ricevuti da Imelda Marcos, la moglie del presidente. Intanto, però, la situazione dei missionari del Pime precipita perché le autorità li considerano l’anima del movimento di protesta.
Il 24 gennaio 1976, il superiore locale del Pime, Francesco Alessi, e il parroco di San Pablo, Gigi Cocquio, arrestati dalla polizia, sono imbarcati su un volo Air France per Roma. Padre Geremia scampa all’arresto nascondendosi in un ospedale; non verrà espulso, ma non potrà più operare a Manila e quindi viene destinato a Mindanao. Padre Albert Booms, cittadino americano, viene invece espulso pochi mesi dopo, il 20 novembre 1976.