L’ottantaquattrenne vescovo emerito di Chimbote, mons. Luis Bambarén, che guidava la diocesi nel 1991 e ha promosso la causa di beatificazione, riflette sull’eredità dei suoi tre sacerdoti martiri
Monsignor Bambarén, come è nata l’idea della beatificazione dei martiri di Chimbote?
«Il 2 settembre 1991 ho celebrato al suo paese di Gromo San Marino, in provincia di Bergamo, i funerali di don Sandro Dordi. Il 9 agosto erano stati uccisi i due giovani francescani a Pariacoto ed erano stati sepolti nella chiesa del villaggio. Giovanni Paolo II era già al corrente di tutto perché il terzo francescano, che si trovava a casa per una ricorrenza di famiglia, il giorno dopo i fatti aveva incontrato il Papa mentre era in visita in Polonia. Quando anch’io l’ho incontrato a Roma l’8 settembre mi ha comunicato la sua convinzione personale e – accentuando il tono della voce per ben quattro volte – mi ha ripetuto: “Sono martiri!”. Ho capito che dovevo intraprendere la loro causa di beatificazione. Le cose sono andate molto bene: ci è stato anche concesso di iniziare l’iter un anno prima dei cinque previsti dalla loro morte».
Perché proprio loro?
«In realtà anche altri sacerdoti e operatori pastorali sono scampati miracolosamente alla stessa sorte. Io stesso sono sopravvissuto a due tentativi di assassinio. I terroristi avevano minacciato di uccidere due dei miei preti ogni settimana se non avessi lasciato la diocesi. Allora a Chimbote c’erano quasi solo missionari stranieri, pochissimi preti peruviani. Il governo americano aveva già dato disposizioni per evacuare i propri connazionali. Quando però il 15 agosto 1991, dopo la morte dei due frati polacchi, ho chiesto ai miei preti di fare quanto ciascuno in coscienza si sentiva di fare, nessuno è partito. Neppure uno».
Dieci giorni dopo, però, hanno colpito don Sandro Dordi.
«Non avrebbero potuto prendere decisione più sbagliata. Don Sandro non è stato sepolto quasi privatamente in una località sconosciuta sulla Sierra Negra, come i due francescani di Pariacoto. Il suo feretro è passato da Lima sulla via del rientro in Italia, per volontà di familiari e collaboratori che non volevano si realizzasse alla lettera la minaccia che Sendero aveva scritto sul muro del mercato di Santa: Yankee, Perù sera tu tomba. A Lima ha sostato quasi una settimana. I suoi funerali sono stati celebrati nella cattedrale prima di lasciare il Paese. Così tutti hanno visto e capito di quali azioni era capace Sendero Luminoso».
Di che cosa eravate accusati lei e gli operatori pastorali della diocesi?
«Cinque giorni prima di morire don Sandro aveva scritto queste parole al gruppo missionario di Clusone (Bg) che lo aiutava: “Gli aiuti che ci vengono dall’estero li investiamo senza dar nell’occhio, con molta cautela, perché siamo controllati da Sendero Luminoso che non vuole queste cose, perché sono interpretate come forme di paternalismo imperialista. Proprio in questi ultimi giorni per questo motivo i terroristi hanno ammazzato due padri polacchi della nostra diocesi di Chimbote; non descrivo i dettagli raccapriccianti dell’uccisione di questi due sacerdoti. Noi pure siamo in una situazione tesissima perché non mancano le minacce… viviamo in uno stato di preoccupazione ed angoscia… pregate per noi”. In realtà in questa lettera c’era più di quanto don Sandro stesso e noi potessimo comprendere in quel momento».
Cioè?
«Quando nel 2001 gli ho potuto parlare in carcere, il fondatore di Sendero Luminoso, il dottor Abimael Guzman, ha ammesso che nei suoi ordini di eliminazione i motivi sociali e politici non erano i principali. “Vuole dire allora che li hanno uccisi per motivi religiosi, perché la religione è l’oppio del popolo?”, l’ho incalzato. “Sì – ha risposto -, per questo chiedo perdono a lei e alla Chiesa”. È chiaro, quindi, che si è trattato di un vero martirio. Li hanno uccisi in odio alla fede e alla carità, perché, a loro dire, la religione è l’oppio del popolo. D’altra parte il Diaro Internacional, pubblicato da Sendero Luminoso a Bruxelles e che riportava solo le azioni ordinate dal capo supremo Abimael Guzman, aveva già riferito delle tre esecuzioni in data 1 settembre 1991 ed erano state indicate anche le responsabilità dei “colpevoli”: “Essi, come i loro capi religiosi, partecipavano alla lotta antisovversiva… con la Bibbia e la Croce e, come la Chiesa stessa riconosce, pretendevano di essere una barriera all’avanzata della sovversione”».
Abimael Guzman ha modificato le sue posizioni ideologiche?
«Non mi risulta. Non ha mai espresso rimorso per quanto Sendero Luminoso ha fatto in Perù. Ha vinto comunque la nostra linea: combattere l’ideologia della lotta armata non solo con le armi, ma con un impegno per la pace e per la vita. Già nel 1985 lanciammo in tutte le scuole la campagna: “Mi impegno per Cristo e per il Perù ad essere costruttore di pace e difensore della vita”. Il 14 settembre 1986 decine di migliaia di giovani di Chimbote inaugurarono la Croce della pace sul punto più alto della città. Ogni anno nella stessa data si organizzava un pellegrinaggio e i giovani firmavano un impegno scritto e controfirmato dal vescovo per la pace e per la vita. Risultato: quando Sendero Luminoso li invitava alle loro “scuole clandestine” di indottrinamento ideologico non ci andava nessuno; e se qualcuno vi era costretto buttava poi via il materiale di propaganda. Si capisce che qualche motivo di risentimento i maoisti verso di noi ce l’avessero…».
Che cosa si aspetta adesso?
«Solo che i resti di don Sandro Dordi tornino a Santa dove la sua gente aspetta di averlo con sé per sempre».