Yves Raguin, missionario gesuita in Cina, scomparso vent’anni fa, è stato uno dei più grandi intellettuali e maestri religiosi del XX secolo, e uno dei più significativi “ponti spirituali” fra Oriente e Occidente
Cinquant’anni fa. È il fatidico 1968. Il missionario francese Yves Raguin torna nella sua Parigi per qualche mese. Proviene da Taiwan, dov’è un affermato uomo di cultura e di spiritualità. Rimane colpito dagli slogan dei giovani contestatori. Proclamano la morte di Dio. Ma il Dio che i giovani rifiutano non era quello che Raguin aveva conosciuto in Oriente. In realtà – pensava – è morta l’astrazione che chiamano Dio. E la spiritualità orientale, che cerca il divino nella profondità dell’uomo, può aiutare i giovani di Parigi a conoscere Dio da un diverso punto di vista.
Gesuita e intellettuale curioso, autorità di spicco in materia di religioni asiatiche, Raguin ritenne, durante tutta la sua vita, che la via dell’interiorità potesse unire l’Oriente religioso e l’Occidente cristiano, andando così oltre la negazione di Dio della modernità. E propose un ardito parallelo tra il rifiuto di Dio del ’68 e il rifiuto, da parte del Buddha, di pronunciarsi sul divino. Alla fine siamo solo uomini e non ce la facciamo a portare il peso del trascendente. Ma c’è una via suggerita dal filosofo cinese Mencio: raggiungere la profondità del cuore è conoscere la natura dell’uomo. Conoscere la propria natura interiore, è conoscere il Cielo. Le riflessioni che Raguin iniziò a elaborare nel “maggio parigino” confluirono nel volume La profondità di Dio. Il titolo fu scelto con attenzione: Raguin volle opporre alla “morte di Dio” proclamata dalla contestazione, la “profondità di Dio” offerta dall’incontro spirituale tra Oriente e Occidente.
Un incontro, quello tra la fede cristiana e le tradizioni religiose asiatiche, a cui Raguin consacrò tutta la sua vita. Secondo una bella immagine di Marciej Bielawski, il gesuita introduce i lettori nelle profondità di «un’immensa grotta, nel grembo del cosmo e simultaneamente nella caverna del cuore umano». Nella profondità l’uomo raggiunge la sorgente interiore che ci alimenta. Troviamo la stessa suggestiva immagine nello straordinario diario della giovane Etty Hillesum: «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietra e sabbia. Allora Dio è sepolto, e bisogna dissotterrarlo di nuovo».
Nella feconda stagione del Concilio e dopo l’enciclica sul dialogo di Paolo VI (1964) Raguin, come altri maestri dello spirito, si impegnò a vivere il dialogo con le tradizioni religiose dell’Asia. Jules Monchanin, Henri Le Saux, Bede Griffiths, Francis Mahieu, Hugo Lasalle e Raimon Panikkar furono impegnati nell’incontro tra fede cristiana e l’India religiosa. Thomas Merton fu in dialogo con il buddhismo.
Raguin, con straordinaria competenza, confrontò i Vangeli e Paolo di Tarso con i maestri cinesi Confucio, Mencio e Laozi. Fece dialogare Agostino con il classico cinese Zuangzi; i mistici della tradizione occidentale (Maestro Eckhart, Giovanni della Croce. Teresa d’Avila…) con gli autori sacri indiani e i maestri Zen. Grazie alla sua solidità interiore, trattò con chiarezza e semplicità, competenza scientifica e grande pace interiore, questioni religiose e teologiche vertiginose, evitando sincretismi e confusioni. La complessità affascinante dell’Oriente non lo mise a disagio. Intuì in anticipo l’esito religioso della postmodernità, e invece che dispiacersene, vi vide nuove opportunità per il cammino interiore. Il vuoto della spiritualità orientale e la pienezza cristiana nella via indicata da Raguin si arricchiscono reciprocamente. La contemplazione e l’interiorità sono le vie che hanno fatto del missionario Raguin, che ci ha lasciato vent’anni fa, uno dei più grandi maestri religiosi del XX secolo.
Conobbi Yves Raguin a Taipei nel 1991. Aveva già ottant’anni. Gli chiesi di orientarmi nella ricerca teologica sul tema “Cristo e la Cina”. Abbiamo avuto lunghe conversazioni. Il suo desiderio di continua ricerca e di imparare da chiunque mi colpì profondamente. Non smise mai di essermi d’aiuto, sempre gentile e generoso. Lo vidi per l’ultima volta nell’agosto del 1998, pochi mesi prima della sua morte. Discu-temmo del termine cinese “Signore del Cielo”adottato da Matteo Ricci per dare un nome al Dio dei cristiani. Raguin proponeva una nuova interpretazione dell’origine del titolo. Nell’ottobre seguente mi inviò una bozza del suo studio, aggiungendo: «Se hai bisogno d’altro, non esitare a scrivermi». Un uomo di 87 anni, in condizioni di salute precarie, si rivolgeva a me con tanta disponibilità: per questo la notizia della sua morte, poche settimane dopo, anche se non fu una sorpresa, mi commosse profondamente. Sono grato di aver avuto il privilegio di conoscere uno dei più significativi ponti spirituali tra Oriente e Occidente. MM
Una vita, due mondi
Yves Raguin nacque nel 1912. A 18 anni entrò nella Compagnia di Gesù. I suoi studi si svolsero all’ombra dei protagonisti del rinnovamento teologico francese del XX secolo. L’Asia orientale suscitava fascino in tanti ambienti europei, e il giovane Yves si entusiasmò della missione in Cina. Studiò a Parigi e a Harward, dove conobbe alcuni dei più importanti orientalisti del tempo. Arrivò a Shanghai, la sua destinazione missionaria, nel fatidico 1949, anno in cui Mao Zedong conquistò il potere. Raguin assistette alla tragica fine della missione cattolica in Cina. Espulso nel 1953, riprese a Taiwan uno dei progetti fondamentali della sua vita: la compilazione di “Le Grand Ricci”, monumentale dizionario cinese-francese in otto volumi, 13.500 ideogrammi e oltre 300 mila significati, un “monumento” che lo colloca tra i più grandi intellettuali del XX secolo.
Nel 1966 fondò l’Istituto Ricci, un centro di eccellenza per gli studi sinologici, con sedi a Chantilly, Macao, Taipei e San Francisco. Autorità di spicco sul tema delle religioni asiatiche, storia del cristianesimo in Cina e spiritualità, scrisse oltre venti libri, alcuni considerati classici del dialogo spirituale tra religioni, e innumerevoli articoli. Dedicò la vita a cercare di comprendere come lo Spirito Santo agisca nelle tradizioni religiose e culturali asiatiche e a valorizzare il contributo che offrono al pensiero cristiano. In tutto ciò, la dimensione contemplativa rimase sempre al cuore della sua esistenza.