L’Eden perduto di padre Stefano

L’Eden perduto di padre Stefano

Da dodici anni padre Mosca opera a Lakewood, paradiso naturale nel Sud del Paese, lacerato però da scontri e sopraffazioni. E dove la comunità più vulnerabile è quella degli indigeni subani

 

«Adagiata su un pittoresco lago vulcanico, Lake-wood pare un luogo d’incanto, una specie di paradiso terrestre in cui l’uomo, la natura e gli animali vivono in spontanea armonia. In realtà, pochi posti al mondo sono più lacerati di queste colline di Mindanao, nel Sud delle Filippine, teatro di scontri, di saccheggi e di sopraffazioni da almeno 30-40 anni». Iniziava così un reportage a firma di padre Giorgio Licini, uscito nel 1993. Una volta, questo era davvero un angolo di Eden: attorno al lago la foresta tropicale era rigogliosa. Gli abitanti erano pochi, tutti tribali subani (termine che significa “abitante dei fiumi”; la popolazione indigena preferisce però autodefinirsi lumad). «Poi però l’arrivo degli immigrati dal Nord e dal Centro delle Filippine è stato peggio di un ciclone devastante», scriveva Licini. Avendola visitata 25 anni dopo, non posso che confermare: Lakewood è una stupenda località, tant’è che un imprenditore turistico ci ha aperto un resort a quattro stelle. Siamo, però, in un lembo isolatissimo della provincia di Zamboanga del Sur: la città più vicina, Pagadian, è a 50 chilometri. Quanto ai problemi della popolazione tribale, a distanza di anni e nonostante alcuni significativi miglioramenti, non possono certo dirsi totalmente risolti.

Il Pime è arrivato lì nel 1985, su richiesta, a sorpresa, del vescovo Federico Escaler: se già oggi, infatti, il paese non è una metropoli (conta sedicimila abitanti), figurarsi allora. La zona rimane, nonostante il miglioramento delle comunicazioni, molto remota. A Lakewood è stato attivo per anni padre Angelo Biancat, morto di malattia nel 2005, all’età di 68 anni, 32 dei quali trascorsi nelle Filippine. Un uomo che aveva conquistato la gente con la sua semplicità. Lo chiamavano il “padre lumad”, poiché fin da subito si era prodigato a seguire i subani, imparando i loro dialetti e accogliendone la cultura e la religiosità. Era diventato uno di loro, fino al punto di difenderne i diritti fondamentali di fronte alle autorità governative filippine. Dopo vari sforzi, era riuscito a far dichiarare “dominio ancestrale” le terre dove abitavano i subani della sua zona.

Oggi a Lakewood lavora, ormai da 12 anni, padre Stefano Mosca, brianzolo: con lui, dal 2015, collabora uno dei veterani delle Filippine, padre Ilario Trobbiani. A distanza di tempo, padre Mosca non ha dimenticato il suo approdo nelle Filippine: «Il superiore Gianni Sandalo all’aeroporto mi accolse così: “Sei venuto qui disponibile a morire? Se la risposta è no, prendi la valigia e ritorna sull’aereo con cui sei venuto”. Un benvenuto che ben presto ho compreso nel suo senso profondo». Dopo un periodo di studio della lingua a Davao, padre Stefano viene inviato a Sampoli con padre Ilario, ma, dopo soli tre anni, viene chiamato a sostituire padre Carrara a Lakewood. Accan-to all’iniziazione cristiana, alla catechesi e alla celebrazione dei sacramenti, intuisce in breve l’urgenza di tre priorità sociali su cui lavorare: i tribali, la scuola e i malati.

La situazione dei tribali, all’inizio degli anni Duemila, era complessa. Si erano riuniti in un’associazione riconosciuta per provare allo Stato di essere i primi abitanti della zona. Ma questa legittima rivendicazione si era scontrata con la cupidigia dei potenti locali. Commenta padre Stefano: «Ci hanno messo subito il bastone tra le ruote. Anch’io me la sono vista brutta: hanno iniziato a minacciarmi di morte, cercando di infangare il mio nome e mandando lettere al vescovo. È stato un periodo duro, avevo paura. Quando hanno ucciso padre Fausto Tentorio, nell’autunno 2011, mi hanno detto: “Il prossimo sei tu”. Per fortuna sono ancora qui».

Nel 2013 il governo filippino emana una legge che offre ai tribali la possibilità di far domanda per aprire una miniera, in quanto «primi arrivati» sul territorio. «I miei nativi intuiscono l’importanza della cosa e comprendono che, in caso di rinuncia, si aprono le porte al possibile arrivo di multinazionali straniere». Viene così fondata la Mining Corporation Lumad, con l’appoggio economico di un politico amico. Grazie all’intervento di un’ong filippina pro lumad, in possesso degli strumenti giuridici adeguati, si sta ora studiando come portare avanti il progetto.

Un servizio molto importante svolto dal Pime mediante la missione di Lakewood riguarda il sostegno alla scolarizzazione. E non poteva essere altrimenti, essendo altissimo il numero di ragazzi e giovani che ruota attorno alla parrocchia. «Tramite la Fondazione Pime – spiega padre Mosca – sono 186 quest’anno gli studenti che usufruiscono di questa opportunità: 36 al college, 150 alla high school. Sono in maggioranza tribali, perché loro fanno più fatica». Ad essi si aggiungono quanti frequentano la scuola diocesana riconosciuta dalla Tesda (Technical Education and Skills Development Authority): una scuola di avviamento al lavoro promossa dallo Stato che offre un diploma riconosciuto in tutta l’Asia. Ai ragazzi e alle loro famiglie si chiede il pagamento di una quota assolutamente accessibile (un terzo circa di quanto costano scuole simili nella vicina Pagadian). «Formalmente di proprietà della diocesi, vede ogni anno più di trecento studenti iscriversi ai vari corsi di avviamento al lavoro». Padre Stefano ha fatto tesoro dell’esperienza pregressa di padre Ilario che aveva già aperto a Sampoli una scuola Tesda. «Oggi abbiamo ben 12 corsi riconosciuti – spiega -. Da qui escono saldatori, elettricisti, meccanici di motociclette e di auto, ma anche tecnici del computer, sarti, massaggiatori, fisioterapisti, tassisti, autisti di bus… Da poco abbiamo attivato un corso per insegnare a trattare i cibi, fare le marmellate o mettere le sardine sott’olio ecc. Sono tutti corsi che abbiamo studiato per i lumad perché, in assenza di qualche abilità lavorativa, continuerebbero inesorabilmente ad essere emarginati socialmente». I risultati? «La stragrande maggioranza dei ragazzi usciti dai corsi ha già trovato lavoro: c’è chi è diventato autista del sindaco del suo paese, chi a Manila sta lavorando come saldatore nei grattacieli in costruzione… Poter lavorare permette loro di avere un reddito e mandare soldi alla famiglia e dà un senso di autostima fortissimo».

Il terzo fronte su cui lavora la parrocchia è quello dell’assistenza ai malati. «L’ospedale più vicino è il Pagadian Medical Center, a 60 chilometri da qui. Avevamo un ospedale pubblico in paese, ma è stato chiuso dalle autorità. Quello di Pagadian è semi-privato e la mia gente non se lo può permettere», spiega padre Mosca. La clinica statale più vicina sta a Margosatubig, ma anche lì si paga. «La conseguenza è che spesso le famiglie rimandano all’ultimo minuto una visita o un ricovero. Così molti malati guaribili finiscono per morire». Per tale ragione, attraverso la rete delle cappelle, la parrocchia di Lakewood sta costituendo un fondo Caritas proprio per i malati.

Tra tanti giovani passati dalla sua parrocchia, padre Mosca non ha dimenticato Cristy Capua. «Stava finendo le medie e, siccome era brava a scuola, le avevo promesso una mano per il college». La prima domenica di giugno 2017 Cristy riceve la cresima. Pochi giorni prima, partecipando a un campo di lavoro organizzato per gli studenti, era stata morsicata da un cane randagio. Spaventata dai possibili costi per la cura, non dice nulla e si limita a passare dell’alcol sulla ferita. «Quando la incontro per portarle l’attestato della cresima mi accorgo che è pallida, ma lei spiega di essere solo stanca». In breve la ragazza peggiora. Padre Stefano suggerisce al papà di Cristy di attingere al fondo Caritas per pagare le spese della cura. Ma è troppo tardi: di lì a poco la ragazza muore di rabbia. «La sorella mi ha raccontato che gli ultimi momenti Cristy consolava i familiari: “Perché piangete? Sta venendo Gesù a prendermi e io vado con Lui, sono contenta. Perché piangete?”». L’hanno seppellita vicino alla parrocchia. Conclude padre Stefano: «Ogni tanto passo e mi fermo alla sua tomba, chiedendole di intercedere per i nostri giovani».

 

Il Pime da 50 anni nelle Filippine

Dicembre 1968: i primi missionari del Pime arrivano  nelle Filippine. È il tempo in cui nasce la guerriglia comunista, mentre a Mindanao prende forma il movimento indipendentista musulmano. In questo infuocato contesto, con una scandalosa divisione fra la maggioranza poverissima e un’élite ricca, i missionari del Pime si mettono a servizio della Chiesa locale, compiendo scelte profetiche. Nelle zone degradate della capitale Manila come nella grande isola di Mindanao, fanno causa comune con gli ultimi, difendono i diritti dei tribali, dialogano con i musulmani. Tre di loro verranno espulsi dal Paese, due saranno sequestrati e poi rilasciati, un paio andranno in carcere, diversi saranno minacciati e tre finiranno martiri. Una vicenda raccontata da Gerolamo Fazzini in “Una fedeltà a caro prezzo. I primi 50 anni del Pime nelle Filippine: una storia di missione e martirio” (Emi, pp. 200, euro 11).