Il Brasile piange la morte di Mario Ottoboni, l’avvocato che nel 1972 ideò l’Apac, il sistema delle «prigioni senza sbarre e senza carcerieri». «Voglio ammazzare il criminale e salvare l’uomo», diceva. E i risultati di questo metodo dicono che è possibile, come raccontiamo proprio sul numero di questo mese di «Mondo e Missione»
Si è spento ieri all’età di 87 anni in Brasile l’avvocato Mario Ottoboni, il fondatore dell’Apac un sistema penitenziario alternativo fondato sulla fiducia nella possibilità di recupero dei detenuti. A piangerlo oggi sono circa 3.500 persone che in una cinquantina di strutture sperimentano che «dall’amore nessuno scappa», come disse a Ottoboni uno dei primi detenuti accolti.
In una realtà come quella brasiliana, dove la carceri sono spesso luoghi di violenza, quelle dell’Apac sono “le prigioni senza sbarre”. Qui i detenuti – definiti “recuperandi” – sono loro stessi responsabili della sicurezza della struttura: non ci sono guardie né armi, i carcerati non sono numeri, delinquenti irrecuperabili, ma persone, a cui è offerta davvero la chance di prendere in mano la propria vita e rivoluzionarla. Di fare i conti con le loro colpe e di superarle, di riconciliarsi con i familiari e con la società, di trasformarsi in uomini e donne nuovi. Ed è un sistema dai risultati straordinari: i tassi di recidiva, che nei penitenziari ordinari in Brasile arrivano al 70-80%, nelle strutture dell’Aipac si fermano al 10-20%. Una ragione in più per investire nel modello, i cui costi sono 1/3 di quanto speso per lo stesso numero di detenuti nel sistema detentivo comune.
Propria a questa storia dedichiamo la copertina del numero di gennaio 2019 di Mondo e Missione. Leggi a questo link il testo integrale dell’articolo.