Da sempre impegnato negli Stati indiani meridionali, l’Istituto ora aprirà una missione nel Darjeeling, nel Nord del Paese. In mezzo ai coltivatori-schiavi delle piantagioni, come spiega padre Rayarala.
Le piantagioni di tè si stendono rigogliose sulle prime pendici dei monti himalayani. Il distretto del Darjeeling, nello Stato indiano del Bengala Occidentale, tra le cui colline si arrampica zigzagando la ferrovia a vapore dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, è universalmente noto proprio per il suo tè nero, considerato il più pregiato al mondo.
Pochi sanno, invece, che i lavoratori impiegati in queste vaste e verdissime colture vivono molto spesso in condizioni pessime e faticano tra le preziose piante di camelia sinensis come moderni schiavi. «Anche se ufficialmente nessuno pronuncia questa parola, nei fatti è così: se non lavori dieci ore al giorno non hai da mangiare, e la volontà del padrone è legge, perché non c’è un’alternativa». A raccontarlo è padre Vijay Kumar Rayarala, superiore regionale del Pime in India, annunciando la prossima apertura di una nuova missione proprio tra i monti del Darjeeling, la prima da settant’anni nel Nord dello sterminato Paese asiatico.
Dopo i primi passi dell’Istituto (era il 1855) nel Bengala centrale, in quello che oggi è il territorio bangladese di Dinajpur a nord del fiume Padma (il nome che assume il Gange appena oltrepassata la frontiera col Bangladesh), con la fine dell’impero britannico, nel 1947, l’opera della congregazione in India si concentrò infatti negli Stati meridionali del Telangana e dell’Andhra Pradesh. E lì è rimasta, dando frutti importanti, fino ad oggi.
«Erano anni che stavamo pensando di aprire una nuova missione», racconta padre Vijay. «Dapprima avevamo deciso per il Nepal, ma il progetto non si è rivelato fattibile. Un decennio dopo, si è concretizzata invece questa opportunità, grazie all’appoggio del vescovo di Bagdogra Vincent Aind». La nuova parrocchia sorgerà infatti a Kadu Banga, nella diocesi retta da monsignor Aind, che è «un grande amico del Pime», essendo originario della diocesi di Jalpaiguri, che ebbe come primo pastore monsignor Ambrogio Galbiati. «Il vescovo fa parte dell’ultima generazione che ha conosciuto il Pime in quella zona, senza contare che, durante i suoi studi in Italia, ha vissuto proprio nella residenza del nostro Istituto, il che gli ha permesso di approfondire i legami e la fiducia nei nostri confronti».
Si sono così riallacciati, di recente, i rapporti con Bagdogra. «Da tre anni i giovani del nostro seminario di Pune trascorrono un anno di servizio nella diocesi: un’iniziativa di cui il vescovo è stato entusiasta», prosegue padre Rayarala. «È stato naturale, infine, scegliere la sede di Kadu Banga come nuova missione. Già da alcuni mesi un sacerdote neo-ordinato, padre Prasanth Kumar Gunja, si trova lì per studiare l’hindi e per inserirsi nel contesto locale». Il giovane prete è lui stesso originario dell’India, ma viene da Eluru, nel Sud (a tre giorni di viaggio da Bagdogra!), e in questa enorme federazione anche la missione “interna” deve affrontare in realtà differenze importanti sul fronte linguistico, culturale e sociale. «Ecco perché anche gli indiani possono essere veri missionari qui, e la loro opera è particolarmente preziosa ora che è diventato impossibile per i sacerdoti stranieri ottenere il permesso di venire a evangelizzare nel Paese».
Il Darjeeling – il superiore regionale ne è convinto – rappresenta «un’opportunità preziosa per mettere in atto il carisma del Pime e insieme seguire l’esortazione di Papa Francesco che ci spinge ad andare nelle periferie, geografiche e della persona umana».
Nella zona di Kadu Banga, che sarà elevata allo stato di parrocchia quando il Pime vi si insedierà ufficialmente, entro il 2019, vivono 400 famiglie di cattolici, suddivisi, in piccoli gruppi, in nove villaggi. Fino ad ora qui non ha mai risieduto un sacerdote fisso, in grado di accompagnare quotidianamente i suoi fedeli. Sono stati impartiti i battesimi, si è celebrata la Messa, ma non è stato possibile fare un percorso pastorale approfondito. «La nostra prima sfida, dunque, sarà dedicarci ai cristiani: conoscerli, intessere relazioni e rianimare la loro fede. Il vescovo non si stanca di ripetere: “Non voglio la quantità, ma la qualità! Non importa che ci sia un numero elevato di battesimi, ma che i cattolici, anche pochi, siano ben preparati e saldi”».
C’è poi l’altro grande settore di impegno, quello sociale. L’obiettivo, cruciale, è ridare dignità umana alle persone che lavorano nelle piantagioni di tè, intrappolate in una spirale di sfruttamento ardua da spezzare. Alcune inchieste giornalistiche, confermate dai rapporti della Banca mondiale, hanno rivelato che i braccianti impiegati nelle proprietà di note compagnie multinazionali ricevono salari bassissimi, spesso insufficienti per alimentarsi adeguatamente, e subiscono violazioni quotidiane dei loro diritti: orari massacranti, esposizione ad agenti chimici senza protezione, impossibilità a riunirsi in sindacati e organizzazioni che li rappresentino.
Sebbene, per legge, i proprietari terrieri sarebbero obbligati a garantire alle famiglie dei coltivatori condizioni abitative adeguate, la maggior parte vive in abitazioni fatiscenti, persino senza latrine funzionanti.
Conseguenza: malnutrizione, problemi sanitari, malattie. E anche accesso limitato all’istruzione per i figli dei braccianti, che saranno così destinati alla stessa vita ingrata dei loro genitori.
Ecco perché, spiega padre Vijay, il Pime intende puntare sulla creazione di alternative professionali per la gente di Kadu Banga. Sia perché i giovani possano ambire a posti di lavoro più dignitosi, sia per porre le basi di un cambiamento nel settore della coltivazione del tè: «Per elevare gli standard lavorativi, infatti, è necessario che i dipendenti abbiano non solo coscienza dei propri diritti ma anche un potere contrattuale nei confronti dei padroni, e questo sarà possibile solo quando avranno un’alternativa professionale e saranno quindi nella posizione di dettare alcune condizioni, invece che chinare sempre la testa per non essere licenziati».
Il progetto del Pime, dunque, è aprire una scuola tecnica in cui i ragazzi possano apprendere lavori manuali – l’idraulico, il carpentiere, l’elettricista – che li rendano flessibili e li aiutino a trovare facilmente un impiego dignitoso, così da liberarsi, pian piano, dalla vita dei loro genitori.
Tra i piani, anche quello di assumere la gestione di una scuola elementare locale. Ma tutto un passo alla volta: si sta ancora scegliendo il parroco che guiderà la comunità, mentre padre Prasanth si occuperà dell’animazione.
La missione ai piedi dell’Himalaya prevede anche spazi per la prima evangelizzazione. Nella zona di Bagdogra, infatti, oltre ai cattolici e agli indù, vivono anche i bhagath, gruppi etnici che venerano gli spiriti maligni. Nonostante il culto di queste divinità sia molto radicato, il vescovo Vincent è convinto che sia possibile annunciare il Vangelo anche a loro: «È stato proprio lui a dirci che questa gente aspetta una luce nuova: la speranza è che, vivendo assieme, noi possiamo portarla», afferma padre Rayarala.
Le sfide quotidiane, poi, non mancheranno. Quella, per esempio, che riguarda i rapporti con i gruppi protestanti locali, e soprattutto quella – che accomuna tutte le minoranze – di far fronte al crescente clima di intolleranza e fondamentalismo a matrice indù. Un grave problema che riguarda tutta l’India, sebbene in certi Stati l’emergenza non sia ancora scoppiata.
«Purtroppo l’induismo sta diventando sempre più fondamentalista – conferma padre Vijay – e punta ad eliminare dal Paese qualunque altra religione. Se fino a qualche tempo fa certe argomentazioni rimanevano sotterranee, oggi, incentivate dalla politica del premier nazionalista di ultradestra Narendra Modi, sono espresse alla luce del sole, nei discorsi e sui social media. E queste tensioni e divisioni si sono insinuate anche tra i rapporti umani. Io, per esempio, ho vari amici indù, ma ora, quando sono invitato a una festa o a un matrimonio, devo stare bene attento a quali discussioni intavolare e con chi. Il clima è davvero incandescente».
Un segnale di speranza è arrivato nell’ultima tornata di elezioni regionali, dove il Bjp (Bharatiya Janata Party), il partito di Modi, al potere dal 2014, ha riportato alcune importanti sconfitte in Stati centrali: Madhya Pradesh, Chhattisgarh e Rajasthan. La grande incognita, ora, è il voto nazionale di quest’anno. Se in primavera il Bjp tornasse a vincere, per la Chiesa la vita quotidiana si farebbe molto difficile. La tensione non risparmia il Bengala, dove è attivo il gruppo indù radicale Rss (Rashtriya Swayamsevak Sangh), che porta avanti anche azioni violente nella generale impunità. La nuova missione del Pime, qui, si apre quindi mantenendo la fedeltà alla propria tradizione di presenza sulle frontiere più calde dell’umanità.