Che senso ha occuparsi di un’arte che abbellisce chiese ed edifici ma ignora la povertà? Come annunciare la Buona Novella e allo stesso tempo dare voce alle esistenze sfruttate e oltraggiate di milioni di persone?
Attorno a queste domande si disegna la grande produzione artistica di Maximino Cerezo Barredo (noto come Mino Cerezo), missionario clarettiano che ha dedicato la sua vita e la sua arte alle maggioranze povere dell’America Latina. I suoi oltre 200 murales, ma anche i quadri, le illustrazioni, i fumetti, i mosaici, realizzati a partire dagli Anni 70 in tanti Paesi del Centro e Sud America, sono frutto della convinzione che non possano esistere un’arte e un annuncio del Vangelo separati dalla richiesta di giustizia.
Nei grandi murales di Cerezo Barredo si muove un mondo dallo sguardo dolente e dai colori vivaci: i protagonisti delle scene bibliche ed evangeliche appartengono alla cultura meticcia e indigena; il Cristo delle Vie crucis, ora boliviano, ora venezuelano, nicaraguense, brasiliano.., è affiancato nel suo percorso di sofferenza da gente povera e semplice; Maria è una donna latinoamericana il cui dolore si mischia a quello delle madri con figli uccisi o desaparecidos. La scelta di dar voce a questo mondo è frutto di un lungo percorso geografico e interiore, che per il clarettiano parte dalla Spagna, sua terra natale, dove inizia una promettente carriera artistica, passa per le Filippine, luogo del primo scioccante incontro con l’estrema povertà, e approda in Sud America.
Qui Cerezo Barredo scopre che l’arte è uno strumento eccezionale di comunicazione: a differenza delle parole fuggevoli e veloci, le immagini costituiscono un linguaggio potente e universale che permette a qualsiasi persona un contatto intenso con il Vangelo e la speranza. E sperimenta che il dipinto non è solo lo strumento dell’artista per comunicare con il popolo, ma è anche quello del popolo per testimoniare la propria realtà e prenderne coscienza. Da qui la scelta di rappresentare anche temi come il martirio o la lotta per la terra, e di utilizzare un processo creativo collettivo e collaborativo, in cui il soggetto da dipingere viene discusso insieme alla comunità, che sostiene con cibo, presenza e consigli la realizzazione dell’opera.