Nonostante i molti dubbi sui risultati delle elezioni, il Paese cerca di guardare avanti e spera in un vero cambiamento. È l’auspicio di mons. Utembi Tapa, presidente della Conferenza episcopale.
Bisogna ammettere che ci vuole del genio per riuscire a organizzare delle elezioni in modo tale che – anche perdendole – si sarebbe comunque vinto. È quanto successo in Repubblica Democratica del Congo dove, con due anni di ritardo, lo scorso 30 dicembre si sono tenute le elezioni presidenziali, vinte – ufficialmente – dal leader dell’opposizione Félix Antoine Tshilombo Tshisekedi, ma di fatto – indirettamente – dal partito del presidente uscente Joseph Kabila.
Ci sono volute diverse settimane perché si arrivasse alla proclamazione del vincitore e all’investitura del nuovo presidente che è avvenuta lo scorso 24 gennaio: una cerimonia a cui, simbolicamente, non ha partecipato nessun rappresentante della Chiesa cattolica congolese. Eppure, la Chiesa stessa è stata uno dei protagonisti assoluti di questa tornata elettorale: sia perché aveva favorito l’Accordo di san Silvestro del 31 dicembre 2016 tra maggioranza e opposizione; sia perché ha accompagnato, soprattutto attraverso le Commissioni Giustizia e Pace, la preparazione della popolazione al voto; sia perché ha dispiegato 40 mila osservatori nei seggi elettorali sparsi in tutto il Paese.
Ma i dati ottenuti dalla Missione di osservazione della Conferenza episcopale congolese (Cenco) non corrispondono a quelli proclamati dalla Commissione elettorale indipendente (Ceni). Migliaia di documenti trafugati verso media stranieri confermerebbero la vittoria di Martin Fayulu, leader della coalizione d’opposizione “Lamuka”. Ma la Corte costituzionale ha dichiarato vincitore Félix Tshisekedi (figlio dello storico oppositore Etienne, morto nel febbraio 2017), nonostante il fondato sospetto che abbia fatto un accordo con Kabila per continuare a governare, in qualche modo, insieme. Della serie, cambiare tutto, per non cambiare niente.
Mons. Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani e presidente della Cenco, non ha nascosto la sua contrarietà: «I dati in nostro possesso dimostrano chiaramente la scelta di un altro candidato come presidente della Repubblica». Dopodiché, per non esacerbare gli animi, e invitando ripetutamente a evitare qualsiasi violenza, la Conferenza episcopale ha ribadito il suo ruolo nel processo di democratizzazione del Paese. «La partecipazione alle elezioni con osservatori preparati deriva dal suo compito di accompagnare la R.D. Congo verso la piena attuazione dell’ideale democratico». È quanto ribadisce al telefono da Kisangani, quando ormai i giochi sono fatti e nel Paese regna una sostanziale pace: cosa per nulla scontata, sino a qualche settimana fa.
Mons. Utembi, com’è la situazione nel Paese?
«Apparentemente c’è calma ovunque. Non ci sono state violenze gravi. È un segno positivo. La Chiesa si è molto impegnata attraverso appelli pressanti, nei quali ha invitato la gente a mantenere la serenità e a manifestare le proprie opinioni con mezzi pacifici. La popolazione ha risposto positivamente».
Lei ha ribadito in più occasioni che bisognava dire la verità sui risultati del voto. Così non è stato.
«Come Chiesa dobbiamo dire la verità, denunciare i mali. Ma dobbiamo anche rispettare la legge. La Corte costituzionale si è pronunciata e ne abbiamo preso atto, nella convinzione che bisogna garantire l’interesse superiore del popolo. Ci sono i fatti, bisogna essere realisti. Ma come Chiesa non dobbiamo rinunciare ad accompagnare il processo di democratizzazione della nostra nazione e invitare tutti alla conversione».
In un modo o nell’altro, c’è stata un’alternanza. Si volta dunque pagina?
«Molti hanno sperato in un cambiamento. Chiediamo che ora venga messo in atto. Il presidente uscente Joseph Kabila si è fatto da parte e ha detto che non metterà i bastoni tra le ruote. Speriamo che sia davvero così. Bisogna guardare le cose anche dal lato positivo».
Quali aspettative ha rispetto al nuovo presidente?
«Vedremo come si comporterà. Ma bisogna aspettare che tutti gli organi dello Stato comincino effettivamente a lavorare: dal governo alle due Camere del Parlamento ai governi locali. Adesso è importante dare la possibilità ai nuovi responsabili di mettersi all’opera. Noi, come Chiesa, siamo disponibili a parlare con tutti e invitiamo ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità. Incoraggeremo i nuovi dirigenti, vedremo come lavoreranno e come possiamo accompagnarli».
Durante la campagna elettorale sono state fatte promesse mirabolanti. Ma il Paese è complesso e attraversato da enormi problemi…
«Il Paese deve poter funzionare; questo è assolutamente necessario. Il nostro augurio più ardente è che i dirigenti possano rispondere ai bisogni del popolo che soffre. Si attendono gesti concreti al di là delle dichiarazioni della campagna elettorale. Adesso occorre che venga rispettata la parola data e che si mettano in pratica le promesse fatte nell’interesse superiore del popolo».
Quali sono le sfide principali, a suo avviso?
«Ci sono sfide enormi che vanno affrontate con decisione. Una riguarda certamente la sicurezza. Tutti i candidati hanno fatto grandi promesse specialmente per la pacificazione delle regioni orientali, che da troppo tempo sono afflitte da violenze e sfruttamento».
Ci sono altre situazioni di insicurezza nel Paese, potenzialmente esplosive?
«Nel Kasai ci sono state violenze terribili, ma molti giovani hanno finalmente accettato di deporre le armi. Speriamo che questo processo di disarmo possa continuare e che ritorni finalmente una pace duratura. Anche in Ituri c’è ancora una certa inquietudine».
Anche dal punto di vista economico e sociale la Repubblica Democratica del Congo è in una situazione molto difficile…
«Migliorare l’economia e le condizioni di vita della gente è certamente una priorità. Anche pagare salari decenti affinché i congolesi possano vivere dignitosamente. Il nostro Paese è scandalosamente ricco, ma la gente vive in povertà estrema. Siamo una delle nazioni più povere al mondo e questo è inaccettabile. La popolazione non beneficia in nulla delle enormi ricchezze di questo Paese. Bisogna fare molto in campo economico, così come in quello delle infrastrutture. Il Paese deve assolutamente migliorare le proprie infrastrutture affinché possa svilupparsi. È una sfida per l’oggi, perché la popolazione congolese possa vivere meglio; ma è soprattutto una sfida per il domani: costruire un Paese migliore per le nuove generazioni».
Ci sono però gravi problemi di corruzione e di governance…
«Sono problemi gravissimi. Dobbiamo combattere con decisione la corruzione dilagante e chiedere ai nuovi governanti di garantire una buona governance. La Chiesa ha sempre insistito molto su questi punti. La Repubblica Democratica del Congo è un grande Paese nel cuore dell’Africa. Non merita di essere tra le nazioni più povere del pianeta».
Tra Butembo e Beni, nel frattempo, continua una terribile epidemia di Ebola, che non è ancora sotto controllo: sono già morte quasi 500 persone. Secondo Medici senza Frontiere è la seconda peggiore epidemia di Ebola della storia.
«Questa epidemia ci fa soffrire e ci preoccupa molto. Continua a fare molte vittime. Per questo la Chiesa locale sta mettendo in campo tutti i mezzi possibili innanzitutto per sensibilizzare la popolazione. Non solo il personale sanitario, ma anche le comunità devono adottare comportamenti collaborativi e prendere tutte le misure igieniche necessarie per evitare il contagio. Il vescovo di Beni-Butembo, mons. Melchisédech Sikuli Paluku, è molto impegnato in questa lotta contro Ebola, e ha diffuso moltissimi messaggi ai fedeli della sua diocesi».
Quali sono i suoi auspici per il futuro della Repubblica Democratica del Congo?
«Il popolo attende un cambiamento. Moltissimi vivono nella miseria e non si può più ignorare il loro grido di aiuto. E anche noi come Chiesa chiediamo che questo cambiamento diventi realtà. Adesso speriamo che il nuovo presidente non dimentichi il popolo. Per questo continueremo a essere vigilanti e ad accompagnare il nostro popolo e i suoi dirigenti in un cammino di sviluppo del Paese e di costruzione della pace, nel rispetto della Costituzione».