I cattolici orientali non solo custodiscono un patrimonio spirituale preziosissimo, ma oggi «sono un messaggio per l’Occidente», dice Gianpaolo Rigotti, curatore di un’opera enciclopedica a loro dedica
Sono lontani, a volte lontanissimi. Eppure sono anche molto vicini: basti pensare alle due eparchie di Lungro e Piana degli Albanesi, in Calabria e in Sicilia. I cattolici orientali oggi sono sparsi tra Europa dell’Est e Medio Oriente, India e Stati Uniti, Canada e America Latina. Circa venti milioni di fedeli che fanno riferimento a Chiese particolari e tradizioni proprie – spesso caratterizzate da una forte specificità – e che tuttavia fanno parte a tutti gli effetti della Chiesa cattolica, a cui portano in dote un patrimonio antichissimo liturgico e teologico, spirituale e disciplinare: «Pensiamo ai testi della patristica orientale, alla profonda spiritualità del monachesimo e all’elaborazione teologica di quelle Chiese», sintetizza Gianpaolo Rigotti, che ha coordinato la nuova edizione – la prima dal 1974 – della straordinaria opera enciclopedica Oriente cattolico, pubblicata dalla Congregazione per le Chiese orientali. Un compendio in tre volumi il cui primo obiettivo è proprio «far conoscere meglio la storia e il presente di queste comunità, che oggi affrontano sfide cruciali. E perciò ci interpellano ancora di più».
A quali sfide fa riferimento?
«Parliamo di fedeli la cui storia, nel corso degli ultimi cent’anni, è connessa da un filo rosso di sofferenza: all’inizio del Novecento la tragedia degli armeni e degli assiri, massacrati durante il crollo dell’impero ottomano, a metà del secolo l’accanimento dei regimi comunisti contro i greco-cattolici dell’Est, oggi la guerra, le persecuzioni e la migrazione forzata in Iraq e Siria. Ma proprio a motivo della loro fede provata dal dolore, questi cristiani possono portare una parola forte di speranza a tutti noi: grazie alla loro testimonianza possono essere protagonisti di una sorta di nuova evangelizzazione per le nostre società occidentali attanagliate dal rischio del relativismo, del materialismo, della decadenza dei valori. E possono esserlo quotidianamente, visto che molti di loro continuano ad affluire in Occidente».
Qual è il loro ruolo qui?
«Alcune Chiese, come quella caldea e quella melchita, oggi hanno una presenza più numerosa in diaspora che nella madrepatria. Se da una parte questi fedeli hanno bisogno di una cura pastorale specifica, che permetta loro di continuare a sentirsi caldei o melchiti, armeni o maroniti o siri e di celebrare la Messa secondo la liturgia della propria Chiesa d’origine, dall’altra devono sentire l’urgenza di condividere il patrimonio ricchissimo di cui sono portatori. Solo per fare un esempio, la capacità di leggere le icone come veicolo per meditare sui misteri della vita di Cristo rappresenterebbe per noi latini un’opportunità preziosa».
Tra le Chiese orientali storicamente presenti in Europa, la più consistente numericamente è quella dell’Ucraina: come sta vivendo la crisi in corso nel Paese?
«I cinque milioni di greco-cattolici ucraini meritano grande attenzione. Sono usciti dalla clandestinità all’inizio degli anni Novanta, dopo mezzo secolo di silenzio, e ora si vedono i frutti di questi tre decenni di libertà, con una ricchezza di vocazioni e grande dinamismo del clero, dai vescovi fino ai giovani seminaristi. Tuttavia, la situazione è difficile a causa della guerra che mette a durissima prova l’Est del Paese, mentre viviamo i contraccolpi dello strappo tra i Patriarcati ortodossi di Mosca e di Costanti-nopoli in merito all’autocefalia ucraina, concessa da Bartolomeo e contestata da Kirill. In questo contesto delicatissimo sotto il profilo ecumenico, il ruolo dei cattolici è quello di continuare a testimoniare l’apertura al dialogo, di essere in un certo senso una Chiesa ponte, secondo la vocazione già affermata dal Concilio Vaticano II. L’Ucraina, in particolare, ha l’opportunità di testimoniare l’unicità di una fede che è vivificata da una grande varietà di confessioni, dai latini ai greco-cattolici alle diverse comunità ortodosse. E sono convinto che, anche in questo caso, i momenti di crisi hanno insite grandi opportunità».
Qual è invece la situazione in Medio Oriente, in particolare in Iraq?
«La Chiesa caldea vive un momento davvero difficile: le violenze degli ultimi quindici anni e l’attacco dello Stato islamico, che aveva invaso Mosul e i villaggi cristiani della Piana di Ninive, hanno provocato un esodo massiccio. Eppure il patriarca, il cardinale Sako, non smette di ricordare ai suoi fedeli la vocazione a rimanere nella propria terra, sostenendo che c’è bisogno di loro per testimoniare l’essere cristiani lì e generare quel dialogo costruttivo con l’islam che superi divisioni e fondamentalismi. Un dialogo la cui condizione imprescindibile – sottolinea Papa Francesco – è la conoscenza reciproca. Questo è anche lo spirito del nostro lavoro: vorremmo che Oriente cattolico fosse uno strumento di conoscenza oltre che di riconoscenza, di gratitudine per ciò che nella storia della fede hanno rappresentato e continuano a rappresentare i nostri fratelli orientali».