L’appello di mons. Paolo Bizzeti, che mercoledì 27 marzo porterà la sua testimonianza al Centro missionario Pime di Milano. Voce di una terra di frontiera nella Turchia di oggi, dove negli ultimi anni dalla Siria e dall’Iraq (ma anche dall’Iran e dall’Afghanistan) sono arrivati migliaia di cristiani
A Samsun, sulle coste del Mar Nero, la chiesa Mater Dolorosa è il punto di riferimento delle famiglie dei cristiani iracheni che dai villaggi sulle colline fanno anche tre ore di pullman per venire alla Messa alla domenica. A Iskenderun, invece, mille chilometri più a sud, agli iracheni negli ultimi anni si sono aggiunti i profughi siriani: solo i cristiani sono circa ventimila. Ma l’immenso vicariato apostolico d’Anatolia si spinge fino ai confini con l’Iran e dunque non mancano nemmeno i cristiani giunti da oltre quel confine; anche loro desiderosi oggi di vivere la propria fede.
Sono i cristiani arrivati da lontano la nuova sfida pastorale della diocesi di mons. Paolo Bizzeti, il vescovo che in Turchia dal 2015 ha raccolto l’eredità di mons. Luigi Padovese, tragicamente ucciso nel 2010. Una terra segnata dalle radici cristiane antichissime, ma anche dal martirio: in questo stesso vicariato svolgeva il suo ministero anche don Andrea Santoro. Ma oggi è soprattutto l’immagine del crocevia quella che più fedelmente la rappresenta; un contesto che oggi chiede un nuovo impegno missionario. A spiegarlo è mons. Bizzetti stesso in’un’intervista a Mondo e Missione che anticipa la serata di mercoledì 27 marzo, che vedrà il vicario apostolico dell’Anatolia portare la propria testimonianza al Centro Missionario Pime di Milano nell’ambito degli incontri di Quaresima.
«Che cosa chiedono le nostre comunità? Prima di tutto operatori pastorali – risponde mons. Bizzeti -: preti, suore… vorrei una presenza monastica in Cappadocia. La Chiesa turca dipende ancora dall’esterno, perché i laici locali non sono stati sufficientemente formati, sono abituati a dipendere dai religiosi, e i pochi sacerdoti latini autoctoni generalmente sono inviati a studiare e operare all’estero. In particolare, oggi, abbiamo necessità di assistenza pastorale per i moltissimi rifugiati arabofoni e anche per quelli che parlano farsi: cristiani provenienti dall’Iran e dall’Afghanistan, ansiosi di poter vivere la propria fede».
«La Chiesa latina quanto è pronta a continuare a investire in questo contesto cruciale anche per il cristianesimo di oggi, oltre che luogo delle origini cristiane? Siamo in un crocevia da cui nessuno può prescindere – spiega il vescovo – al confine tra Oriente e Occidente, dove i problemi dello sviluppo economico, dei modelli di civilizzazione, della convivenza tra le fedi sono al centro dell’attenzione. È un crogiolo di culture, un Paese ricchissimo di tradizioni con un islam variegato anche al suo interno, dove c’è molto da offrire ai cristiani locali, ma anche molto da ricevere».
Nell’intervista mons. Bizzeti parla anche del suo rapporto con la Turchia di oggi: «Frequento il Medio Oriente da quarant’anni – ricorda -, ma la presenza fissa mi ha permesso di comprendere meglio certe dinamiche che raramente coincidono con gli slogan dei media occidentali, i quali in genere semplificano una complessità interessante e spesso drammatica. Sul piano della fede, invece, essere una piccola minoranza in un contesto musulmano in un’escalation di autoaffermazione è una provocazione, che costringe a comprendere meglio che cosa ha il Vangelo da dire a ogni uomo».
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