Il Centro Pime di Milano si rinnova e cerca vie inedite per annunciare il Vangelo. Anche qui, tra chi si è allontanato dalla Chiesa.
Calo delle vocazioni, chiese svuotate, giovani sempre più disinteressati alla religione, sfiducia nei sacerdoti e nella Chiesa… che l’Italia sia terra di missione è ormai assodato. Uno studio del Pew Research Center del 2018 ha rilevato che in tutti i Paesi europei i cristiani non praticanti sono ormai la maggioranza, il 46% della popolazione, contro il 18% di praticanti. L’Italia fa eccezione con una situazione di parità: il 40% di praticanti e di non praticanti. Per dirla con una metafora molto italiana: siamo ai calci di rigore. E se c’è qualcuno che può segnare un gol e rovesciare le sorti della partita, questi sono i missionari, esperti nel trovare nuovi modi per annunciare il Vangelo a chi non lo conosce – o l’ha dimenticato. Il processo di inculturazione che funziona in Asia, Africa e America può funzionare anche in Italia; anche a Milano, la città più modaiola e frettolosa. Il rinnovato Centro missionario del Pime sarà l’occasione per fare un tentativo di missione in patria: il 15 settembre, alla presenza dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, la Casa Madre dell’Istituto si aprirà alla popolazione meneghina restaurata e rinnovata. Non solo nell’architettura, ma anche nell’offerta che vuole fare al territorio.
Perché? «Perché la città ne ha bisogno» spiega padre Mario Ghezzi (nella foto), da un anno direttore del Centro dopo diciassette in Cambogia. «Appena sono tornato a Milano mi sono reso conto che anche quella che il Pime ha svolto qui è, a tutti gli effetti, missione. Ed è una missione bellissima. Rinnovare il Centro missionario significa fare un passo incontro alla città, che necessita di luoghi dove i valori cristiani si mischino con quelli che i cittadini vivono tutti i giorni, con i loro interessi».
Milano è ricca di musei, centri culturali, festival ed eventi, tutti frequentatissimi. Ma gli ultimi mesi hanno dimostrato che qui sono anche in tanti (e tanti giovani) ad essere impegnati in battaglie civili, coinvolti in cause benefiche e attori del cambiamento in prima linea. C’è sete di cultura, ma anche il bisogno di fare qualcosa di concreto. «Il nuovo Centro Pime vuole essere, innanzi tutto per il suo quartiere, un nuovo modo di vivere la cultura, che unisca “teoria” e “pratica”», spiega padre Mario. «Il Pime ha la fortuna di avere, da sempre, queste due identità insieme: da una parte c’è il lavoro tangibile dei missionari in centinaia di progetti all’estero. Dall’altra l’impegno quotidiano di raccontare questo lavoro facendo cultura e informazione. Penso innanzitutto a Mondo e Missione e ad AsiaNews, che informano migliaia di persone su quello che accade nel mondo. Ma anche alle numerose attività che il Centro missionario di Milano ha sempre promosso: convegni, incontri, concerti, fiere, il nostro Museo, la nuova stagione teatrale. Credo che un milanese spenderebbe più volentieri i 10 euro del biglietto di uno spettacolo se sapesse che una parte di quei soldi va in missione. In un colpo solo fruirebbe di cultura “alta” e farebbe una donazione».
Ma il nuovo Centro Pime incarnerebbe anche un modo diverso di vivere la Chiesa. Non un’istituzione chiusa e austera, perché l’inculturazione funziona in due versi: le tradizioni pagane assumono nuovi significati alla luce della Buona Novella, ma allo stesso tempo i riti cristiani si arricchiscono di nuovi elementi. Così anche il Pime si è lasciato “contaminare” dallo spirito milanese. «Può sembrare strano, può persino far arrabbiare che un istituto missionario spenda i suoi soldi, invece che in progetti di sviluppo, per aprire un centro culturale. In realtà è la stessa cosa: come in Camerun servono pozzi, così a Milano servono luoghi che parlino del mondo.
E così come ci impegniamo perché i pozzi vengano scavati nel modo migliore, così abbiamo investito in un Centro che possa davvero valorizzare la sua proposta. Ad esempio: io credo che oggi a Milano non si possa avere un centro culturale senza un bar. Per questo ho insistito sull’aprire una caffetteria: per entrare in dialogo con questa città dobbiamo essere in sintonia. Offriremo pasti e aperitivi, il più possibile con ingredienti equosolidali, in pieno spirito di sostenibilità, e sarà un ottimo metodo per invogliare le persone a entrare da noi e ad ascoltare quello che abbiamo da dire. Una specie di esca per riavvicinare chi si è allontanato dalla Chiesa, facendo riscoprire il cuore del messaggio cristiano, che è la missione». Ma questo non basta, sottolinea padre Mario.
«La vera sfida sarà non solo essere più aperti che mai, ma soprattutto uscire, andare a incontrare le persone. Abbiamo iniziato a farlo l’anno scorso con la nostra fiera itinerante, che ha fatto tappa in diversi comuni lombardi, e ha funzionato bene. Qui a Milano deve succedere lo stesso a partire dal nostro quartiere, che tra l’altro è in forte espansione. Le persone che lo abitano non ci conoscono, ora vogliamo andare loro incontro con la disponibilità a far nascere qualcosa di nuovo da ogni contatto». Ma cosa c’è nel nuovo Centro Pime? Nei rimodernati sotterranei di Casa Madre si svilupperanno il Museo, completamente rinnovato nella sua esposizione, che diventa più interattiva e multimediale, e la Bottega del mondo, che si amplia leggermente per offrire una maggiore varietà di prodotti solidali. Ampio spazio è stato lasciato alla presentazione del Pime e alle parole dei missionari stessi, attraverso un racconto interattivo. A raccordare queste realtà ci sarà la caffetteria, luogo di incontro e cuore pulsante del calendario di eventi.
Non solo testimonianze e presentazioni di libri, ma anche mostre gratuite, piccoli eventi, aperitivi in lingua, corsi e magari musica dal vivo. Sarà disponibile anche una nuova sala polivalente per le iniziative più corpose, mentre per i “pesci grossi” il teatro Padre Gheddo resta il punto di riferimento. «L’offerta è già ricca di per sé, ma nei prossimi anni puntiamo ad ampliarla ancora sia con nuove iniziative “a marchio Pime”, sia lasciandoci coinvolgere dalle proposte che ci arriveranno, mettendoci al servizio della città e della Chiesa locale. Esattamente come facciamo quando andiamo in missione».