La quasi totalità della popolazione di Hong Kong condanna la violenza. Ma è il comportamento irresponsabile della governatrice Carrie Lam, ormai scaricata anche da Pechino, a incoraggiare le posizioni più radicali
Lunedi 1 luglio 2019 sarà un’altra data da ricordare per Hong Kong. Dopo la celebrazione ufficiale, piuttosto mesta, per i 23 anni del passaggio alla Cina, più di mezzo milione di persone hanno marciato per chiedere, tra le altre cose, il ritiro totale della proposta di legge sull’estradizione e l’investigazione sulle violenze della polizia dello scorso 12 giugno.
Sullo sfondo la profonda irritazione verso il governo e specialmente il suo capo, Carrie Lam, incapace di fronteggiare la situazione e di mettersi in dialogo, sinceramente, con la gente.
La sera del 1 luglio abbiamo seguito, in diretta, a qualcosa di difficile da credersi: poche centinaia di giovani sono riusciti ad entrare nel parlamento della città, approfittando dell’incredibile decisione della polizia di non difenderlo. Ci sono state scene di vandalismo, nessun ferito. I giovani stessi, una volta dentro, non sapevano bene cosa fare. L’occupazione è durata tre ore circa e i giovani hanno impiegato quasi tutto il tempo a decidere se rimanere o lasciare. Per fortuna alla fine hanno deciso di lasciare. Forse nel gruppo c’era qualche infiltrato mandato ad esasperare, forse la disperazione dei giovani non conosce altri modi di espressione.
La quasi totalità della popolazione di Hong Kong condanna la violenza, anche quella contro l’edificio del parlamento. Tutti i leader dell’opposizione democratica presenti sulla scena hanno supplicato i giovani di non violare il parlamento. Carrie Lam alle quattro del mattino ha convocato una conferenza stampa denunciando la violenza estrema dei dimostranti. Forse era proprio quello che voleva, scene di violenza da condannare. Nessun accenno al mezzo milione di persone che hanno manifestato pacificamente sotto il caldo torrido. Dispiace per Carrie Lam, che dimostra capacità politiche pari a zero.
Fu lei a dire che “sospendeva” la proposta di legge sull’estradizione dopo aver visto le scene di violenza del 12 giugno. Dunque una marcia prima di un milione prima e poi di due milioni di cittadini pacifici che amano Hong Kong la lascia indifferente. Ma cede davanti alla violenza di centinaia di giovani esasperati. In questo modo si rende lei stessa responsabile di istigare i più radicali alla violenza, inducendoli a pensare che è l’unica via per ottenere qualcosa.
Carrie Lam ora è abbandonata da tutti, anche da Pechino che ci tiene a dire ora che l’idea dell’estradizione non viene da loro. Lam non è stata in grado di anticipare le conseguenze locali, nazionali e internazionali della sua sciagurata iniziativa. Il troppo zelo suo e dei suoi consiglieri lontani anni luce dalla gente, le impediscono di interpretare e rispondere al meglio a questa crisi senza precedenti.
Non sappiamo come andrà a finire. Siamo di fronte all’unica vera sfida al regime cinese, un regime che si impone con sempre maggiore successo nel mondo. Può finire molto bene, può finire molto male: nessuno oggi lo sa. Ma di certo la vicenda non è conclusa.
Noi stiamo con i leader delle Chiese cristiane, accanto allla gente e ai giovani che vedono un futuro segnato, senza partecipazione. Siamo pacifici, contrari a ogni forma di violenza, ma anche senza timore di fronte alle ottusità e alle violenze del potere.