Quando accompagno al Battesimo persone che vengono dal buddismo mi chiedo: è possibile una doppia appartenenza religiosa? Una perfetta e matura tolleranza così come una profonda magnanimità, possono convivere con una dichiarazione d’amore assoluta e intransigente come solo l’amore vero raccomanda
«I love all religions,
but I am in love with my own», Madre Teresa (1)
La lettura di un saggio dal titolo Jesus & Buddha. Friends in Conversation, mi ha riproposto un problema comune per noi missionari che accompagniamo persone al Battesimo. Nel mio caso, per esempio, si tratta sempre di persone provenienti dalla tradizione buddista che decidono di abbracciare il Dio di Gesù Cristo. Ebbene, quel libro si conclude con un capitolo suggestivo dal titolo Is Religious Double Belonging Possible? Dangerous? Necessary?, nel quale si sostiene la possibilità, anzi la necessità della “doppia appartenenza religiosa”. Essere cioé al contempo buddisti e cristiani. Uno degli autori, Paul Knitter, dichiara di vivere una simile “doppia appartenenza”. Non al modo di un “tasty spiritual cocktail”, quanto riuscendo a mantenere distinte le due tradizioni, abbracciandole entrambe, sapendo che troveranno compimento l’una attraverso l’altra. Nel contesto plurale in cui viviamo – sostiene l’autore – «if they want to be religious, they have to be religious interreligiously» (2). Perché – cita E. Schillebeeckx – «there is more religious truth in all the religions together than in one particular religion».
Non basta lo spazio che segue per entrare nel merito, ma qualcosa si può dire. Spesso la nostra gente, da poco convertitasi al Cristianesimo, rimane legata ad un certo retaggio buddista. E come potrebbe essere diversamente! Nel modo di pensare, per esempio, o nel fatto che molti sentono ancora l’obbligo sociale di partecipare ai riti del villaggio, a maggioranza buddista. Di fatto, sono davvero esposti al rischio di essere un po’ di qua e un po’ di là! O, forse, né di qua né di là! Come tanto sincretismo religioso sia in Oriente che in Occidente. Pare che questi mix-aperti siano politicamente corretti, preferibili alle dichiarazioni di fede univoche, considerate “appartenenze troppo rigide”. In realtà quello stesso autore riconosce in sé una certa precedenza del Cristianesimo. Si definisce «a Buddhist Christian» e precisa: «Christian is the substantive, the original and primary identity; Buddhist is the adjective, the important “add-on”».
Pur affascinante, si tratta di una prospettiva che potrebbe portare ad avere il piede in due scarpe. O a liquidare le differenze e l’intensità della ricerca di Dio, con il diffuso adagio “tutte le religioni sono uguali”. V’è qui una certa tolleranza che porta al qualunquismo… poi il mercato farà il resto.
Alcuni anni fa avevo letto un altro interessante libro, La Mangrovia. Una donna, due anime, scritto da Claire Ly (nella foto in alto), donna cambogiana sopravvissuta ai Khmer Rossi e convertitasi al Cristianesimo. Ebbene, anche lei prima buddista e poi cristiana, definisce la sua esperienza di fede come un ecosistema, quello della mangrovia. Questa originalissima pianta predilige ambienti dove «l’acqua salata si mescola con l’acqua dolce». Allo stesso modo, esperienze e culture diverse, l’Oriente e l’Occidente, il Buddismo e il Cristianesimo, possono co-esistere accettando una certa co-dipendenza fino a formare, insieme, una terra «dove l’incontro tra culture e religioni fa sgorgare vita a profusione». Senza confusione. Senza irenismi. Claire, infatti, pur non rinnegando le sue origini buddiste e pur riconoscendo la necessità di questo co-esistere, non rinuncia all’annuncio dell’unico amore della sua vita, «il viso di Gesù Cristo il cui richiamo e la cui freschezza hanno toccato tutta la mia persona» (3).
Una perfetta e matura tolleranza così come una profonda magnanimità, possono convivere con una dichiarazione d’amore assoluta e intransigente come solo l’amore vero raccomanda. «I love all religions, but I am in love with my own», disse Madre Teresa in un’intervista del 1988. Mentre Claire riconosceva quanto quella certezza di fede, per alcuni intollerante, fosse in realtà «come una ferita». Quella di chi cerca Dio. Lui, che prima si è lasciato ferire per noi. È «la follia del Nazareno» a fare di Cristo qualcuno di unico per Claire. È l’intensità di quell’amore a fare della fede una ferita, ma anche un’esperienza assoluta, monogamica. « … più la piaga grida / più v’è Dio» – scrive la poetessa Elena Bono. Non si è trattato per queste due donne di rigidità quanto di profondità. Che le ha portate ad una comunione universale.
Ben venga il confronto fra le diverse esperienze religiose. E nondimeno, qualsiasi passione, se autentica, fa sgorgare vita a profusione e porta iscritta l’urgenza di proclamarsi unica. A costo di essere folli. Come per il grande F. Dostoevskij. Perché «non c’è nulla di più bello, di più profondo, più simpatico, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c’è, ma addirittura, con geloso amore, mi dico che non ci può essere. Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità» (4).
1. Madre Teresa, intervistata da Edward Desmond, capo ufficio della redazione di Time a New Delhi, nel 1988.
2. P. Knitter – R. Haight, Jesus & Buddha. Friends in Conversation, Bangalore 2016, 225.
3. C. Ly, Tornata dall’inferno. La vicenda di una donna sopravvissuta all’orrore dei Khmer Rossi, Milano 2006.
4. F. Dostoevskij, Lettere sulla creatività, Milano 1991, 51, lettera a N. Dmitrievna Fonvizina, 20 febbraio 1854.