AMAZONAS
Prendiamo materie prime dall’Amazzonia pensando sia una riserva inesauribile. Ma la salvaguardia della foresta produrrebbe molta più ricchezza
L’Amazzonia è un mosaico di storie, conoscenze, danze, colori, odori, sapori che hanno formato l’immensa ricchezza delle culture dei popoli che per millenni hanno saputo vivere in armonia con l’ecosistema che li circondava. Quest’armonia è stata brutalmente interrotta con l’inizio della colonizzazione che si è fatta protagonista di un’escalation di distruzione, saccheggio e razzia di ciò che l’Amazzonia aveva di più speciale: la sua magia, la sua esuberanza, la sua biodiversità.
L’occhio avido di chi vede solo il guadagno economico ha sfruttato inizialmente la grande quantità di spezie. Poi è stata la volta della gomma che all’inizio del secolo scorso ha fatto diventare questa regione una delle più redditizie del mondo e Manaus (la capitale dell’Amazzonia) una tra le città brasiliane più sviluppate. Per continuare con la depredazione di legname pregiato, col neo-colonialismo delle industrie minerarie smaniose delle immense risorse del sottosuolo, i mega progetti per la costruzione di strade o dighe per l’energia idroelettrica che distruggono irreparabilmente la biodiversità e impongono modelli culturali ed economici che non appartengono ai popoli originari, l’espansione del latifondo e dell’allevamento di bestiame maggior responsabile del disboscamento e del conseguente aumento dell’anidride carbonica.
Da quando l’uomo bianco ha messo piede in Amazzonia, questa terra non riesce a perdere la fama di paniere del mondo dal quale chiunque può prendere qualsiasi cosa senza la minima preoccupazione. Ma questa è una pericolosa illusione, perché l’Amazzonia è un ambiente fragile, già vicino al punto di rottura secondo diversi studiosi.
«Questa economia uccide» scriveva Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium; è un’economia che genera esclusione, idolatria del denaro e violenza. E – in modo particolare in Amazzonia – si basa sul modello predatorio dell’estrai-produci-scarta dove i popoli tradizionali sono visti dallo stesso governo come un ostacolo da rimuovere.
Ma un modello di sviluppo diverso esiste: è quello della sostenibilità nel quale gli aspetti sociali, ambientali ed economici si armonizzano tra loro. Come diceva Chico Mendes, sindacalista e ambientalista, martire per aver difeso l’Amazzonia, «la foresta in piedi vale molto di più della foresta distrutta». È la sua salvaguardia a generare il surplus di uno sviluppo sostenibile. Non la carne degli allevamenti di bestiame, non la soia, non il disboscamento selvaggio, ma la sua ineguagliabile biodiversità attraverso la produzione di frutta, di pesce, di artigianato. E poi gli oli, la castagna del Pará, l’açai (il frutto di una palma, il cui commercio per l’Europa sta crescendo molto), i medicinali naturali estratti dalle cortecce degli alberi o dalle foglie, per non parlare dell’eco-turismo e dell’etno-turismo. L’obiettivo di uno sviluppo del genere non può però essere il Pil ma il bem viver, cioè quella filosofia di vita dei popoli tradizionali per la quale la reciprocità, la condivisione, il profondo rispetto per la terra sono i valori fondamentali che costruiscono il benessere sociale. Presuppone, dunque, un importante cambio di mentalità e di stile di vita che richiede una nuova forma di consumo e di sobrietà.
Il Papa vuole che il Sinodo sia un appello per contemplare, ascoltare, comprendere, a partire dalla fede, la grandezza di una regione nella quale il Creatore ha disegnato magnifici paesaggi. Per dirci che la creazione non ha prezzo, il sole, l’acqua, l’aria, la terra non possono essere venduti o comprati, non possono essere commercializzati perché sono sacri.