Libertà politiche consolidate tolte di mezzo, squilibri sociali in forte aumento, distanza tra i giovani e le autorità: tre questioni fondamentali da tener presente per capire davvero che cosa sta succedendo ormai da due mesi a Hong Kong
Da più di due mesi la vicenda di Hong Kong occupa il cuore di milioni di persone in tutto il mondo che amano la città. Ogni giorno succede qualcosa di grave; ogni domenica una dimostrazione con centinaia di migliaia di persone. Nessuno sa come andrà a finire. La sensazione è che la situazione è sfuggita di mano a tutti. Non c’è nessuno in grado di controllare gli eventi e gli incidenti, che aumentano di numero e di intensità per forza propria.
Impossibile raccontare tutti i fatti, difficile proporre analisi esaustive. Gli effetti sono già drammatici: violenza come non si è mai vista; intervento di bande mafiose che picchiano impudentemente per conto terzi; infiltrati che esasperano gli animi; prevalenza dei violenti nelle situazioni critiche (che pure sono in netta minoranza nel movimento); stanchezza da parte della grande maggioranza – ragionevole e pacifica – ma inascoltata da un governo di incompetenti. La gente si divide con amarezza e animosità: si litiga nelle famiglie e si rompono le amicizie.
Finora, fortunatamente nessuno è morto. I feriti però sono numerosi, alcuni gravi. Alcune frange della polizia sono violente, come mai si era visto a Hong Kong. Almeno cinque giovani si sono suicidati, apparentemente in relazione alla protesta. Aumenta il disagio psichico, in una città dove esso è già un’emergenza sociale. L’impiego di gas tossici crea un significativo danno alla salute dei cittadini coinvolti.
Ci sono tre questioni di fondo su cui occorre, per quanto brevemente, riflettere. La prima è politica. Uno degli slogan più in voga è “liberare Hong Kong è la rivoluzione del nostro tempo”. La richiesta, sacrosanta, per il suffragio universale è sul tavolo da molti anni. È sempre stata respinta con arroganza, anzi togliendo libertà già consolidate. Ma proprio questa ottusità può decretare la fine dell’autonomia speciale di Hong Kong e dare spazio alle spinte indipendentiste, per quanto siano senza speranza. Se non si concede proprio nulla, è inevitabile che la parola passi a chi non ha nulla da perdere. Più le proteste continuano, più si alza l’asticella delle richieste e l’esasperazione reciproca. Lo stallo mostra la distanza abissale tra i governi di Hong Kong e della Cina dal sentimento genuino della popolazione.
La seconda questione riguarda la situazione sociale. È fallita l’economia di mercato liberista e senza alcuna correzione sociale. A Hong Kong i ricchi diventano ancora più ricchi, oltre ogni immaginabile limite. Sono sempre di più gli affaristi che vengono dalla Cina e che a Hong Kong moltiplicano la loro fortuna. In una delle città più densamente popolate e costose al mondo, sono i più deboli e i giovani a pagare prezzi altissimi. La casa è un sogno. Negli ultimi dieci anni, i prezzi delle abitazioni sono saliti del 242%; da ben nove anni è il mercato immobiliare più costoso al mondo.
Se lo stipendio mensile medio è di poco meno di 2200 euro per gli uomini e di 1600 per le donne, l’affitto mensile medio per un modesto appartamento in città è di 1900 euro. I prezzi medi delle abitazioni sono 21 volte superiori del reddito medio annuo lordo delle famiglie. Si dice spesso, e lo scrive recentemente anche il South China Morning Post, che per un minuscolo appartamento in un grattacielo di Hong Kong devi spendere tanto quanto per comprare un castello in Francia. Lo stesso vale per gli spazi edilizi affittati a piccoli imprenditori. Gli affitti stratosferici rendono impossibili gli utili, e tutto finisce in mano alle nuove e voraci compagnie dalla Cina.
Anche il governo a Hong Kong è molto ricco: ha un riserva finanziaria in valuta straniera di 425 miliardi di dollari americani. Nessun altro governo al mondo può vantare tanta ricchezza. Eppure non ci sono investimenti per una politica sociale che elevi il miserabile salario minimo; che migliori il sistema pensionistico, scolastico e sanitario. In particolare occorre correggere la speculazione immobiliare. Osservatori fanno notare che a Singapore (una città stato comparabile ad Hong Kong) il governo sostiene l’edilizia sociale in un modo più efficace.
La terza questione riguarda proprio i giovani, i grandi protagonisti della rivolta. La stragrande maggioranza di loro sa che non avrà mai una casa, che non potrà mai avere una propria azienda, e ogni loro fatica servirà ad arricchire i ricchi. Sentono la scadenza del 2047 (quando finirà l’autonomia di Hong Kong) come già anticipata; e che irromperà nella loro vita e nella vita dei loro figli. Hanno attese, pensieri, rabbie e speranze che i governi di Hong Kong e della Cina non solo non ascoltano, ma non sanno nemmeno che esistono. Lo ripeto: ciò che colpisce di più in questa drammatica vicenda è la distanza abissale tra il sentimento dei giovani e le autorità.
Per questo respingo con sdegno la retorica, così frequente nelle narrazioni delle vicende di Hong Kong da parte dei commentatori (soprattutto italiani) della “pazienza dei leader di Pechino” verso i ragazzi indisciplinati di Hong Kong. “Per quanto tempo Pechino porterà pazienza?”. Che modo irresponsabile e inadeguato di descrivere quanto avviene a Hong Kong. La domanda dovrebbe essere capovolta! È pure irresponsabile evocare la possibilità di un intervento armato di Pechino, come se questo fosse un esito possibile o inevitabile. Evocare soluzioni militari è funzionale alla politica repressiva di un regime illiberale (grazie a Ilaria Maria Sala per avere richiamato l’attenzione su questo tema).
La situazione è difficile, anzi drammatica. Ma non è la prima volta che Hong Kong sembra sull’orlo della fine, e poi si è ripresa: nel 2003 Hong Kong ha superato la crisi della SARS e della proposta di legge sulla sicurezza nazionale; nel 1967 ha superato la crisi – gravissima- dei riots della Rivoluzione culturale; nel 1945 è risorta dopo la tragica occupazione giapponese che aveva portato fame, morte e distruzione.
I vescovi e i fedeli sono impegnati a pregare, ad offrire rifugio a quanti sono in pericolo, ad assistere a quanti sono colpiti dagli effetti dei disordini. Noi, nonostante tutto, continuiamo a nutrire sentimenti di speranza per la meravigliosa Hong Kong.