Il Museo delle Culture e la “cultura” della Barbie

Il Museo delle Culture e la “cultura” della Barbie

Finalmente riaperto, il Museo delle Culture di Milano si presenta con una collezione permanente molto ridotta e una grande mostra sulla Barbie. E allora, meglio visitare il Museo del Pime! Intanto, a Parigi…

 

Praticamente negli stessi giorni, il 27 ottobre a Parigi e il 28 a Milano, due Musei con vocazione etno-antropologica – il Musée du Quai Branly nella capitale francese e il Mudec nel capoluogo milanese – aprivano (o riaprivano) collezioni e mostre temporanee. Entrambi con grandi ambizioni. A Milano, dopo l’anteprima “Africa. La terra degli spiriti”, che ha anticipato l’apertura vera e propria del Mudec durante i mesi dell’Expo (con una collezione in gran parte già vista in passato, a Milano e non solo), il Museo delle Culture ha finalmente aperto ufficialmente i battenti, presentando la collezione permanente e alcune mostre temporanee. Il tutto parecchio deludente. Non solo perché la collezione permanente, negli enormi spazi del nuovo Museo, appare ancora più misera e insignificante, ma anche perché il lancio vero e proprio di questo spazio museale così a lungo atteso, progettato e discusso è stata affidato innanzitutto a una grande mostra su… la Barbie! «Una vera e propria global sensation! – viene descritta -. Barbie è riconosciuta, adorata e celebrata in tutto il mondo. Definirla una bambola sarebbe riduttivo. Barbie è un’icona globale, che in 56 anni di vita è riuscita ad abbattere ogni frontiera linguistica, culturale, sociale, antropologica».

Il Museo delle culture riapre finalmente a Milano proponendo una… global sensation sulla Barbie! Forse ci stanno prendendo in giro? Sarebbe un po’ ridicolo, se non fosse tragico.

Questa sensazione è ancora più lacerante dopo aver visitato pochi giorni prima non solo l’immensa collezione permanente del Quai Branly, ma soprattutto la mostra temporanea dedicata al “Sepik. Arte della Papua Nuova Guinea”. Un’immersione nella vita, nei costumi, nelle credenze e nelle trazioni di un popolo che vive all’altro capo del mondo, lungo appunto il fiume Sepik. La sola mostra temporanea presenta una varietà e una ricchezza di pezzi assolutamente straordinaria. Circa 230 statue, maschere e oggetti scolpiti permettono al visitatore di penetrare nei “segreti” di questo popolo e di scoprire via via il ruolo e le figure degli antenati e dei fondatori. Un percorso in bilico tra visibile e invisibile.

Certo, i due Musei non sono neppure lontanamente paragonabili. Però… Al Mudec, gli oggetti della collezione permanente sono circa 200. Ripropongono in modo molto “tradizionale” quel che resta delle Raccolte Civiche in gran parte distrutte dai bombardamenti che colpirono Milano nel 1943. Tra queste anche la collezione del Pacifico, che era stata in gran parte donata ai Musei Civici proprio dal Pime. Un suo missionario, infatti, padre Carlo Salerio, era stato tra i primissimi a recarsi in Papua Nuova Guinea, in particolare nell’isola di Woodlark, e a sopravvivere, insieme a un suo confratello, a quella prima spedizione. Ritornò in Italia nel 1856, portando con sé una collezione ricchissima e unica. «Una nuova pagina della storia della civiltà», venne definita dalla Commissione incaricata dall’Accademia fisio-medico-statistica di Milano di studiare gli oggetti portati dal Salerio (per approfondire, vedi libro “Un museo per viaggiare, un museo per incontrare”, Pimedit). Per la prima volta il nostro Paese veniva a conoscenza di mondi allora lontanissimi e quasi irraggiungibili.

La collezione è andata totalmente perduta, tranne pochissimi oggetti, due dei quali – un recipiente e una conchiglia – sono esposti al Museo Popoli e Culture del Pime di Milano (via Mosé Bianchi, 94). Un Museo piccolo, molto meno appariscente del Mudec, ma certamente più ricco di contenuti. Non solo perché sono esposti circa 300 oggetti, provenienti da Asia, Africa, America Latina e Oceania. Ma anche e soprattutto per la qualità e l’unicità degli stessi. La maggior parte dei beni è stata portata in Italia dai missionari, anche se nel tempo numerose sono state le donazioni da parte di privati. La sezione più consistente proviene dalla Cina ed è composta da tessuti, ceramiche, bronzi, smalti, legni, giade, avori e dipinti. Tutti di grande qualità. Altre sezioni hanno una connotazione più filosofico-religiosa e si riferiscono in particolare a buddhismo, taoismo, e induismo.  La parte etnografica delle collezioni è infine rappresentata da oggetti legati soprattutto ai vari riti di iniziazione in America Latina e in Africa o utilizzati per il culto degli spiriti.

Un piccolo “laboratorio di umanità”, lo definiscono i responsabili del Pime di Milano, dove «gli individui sono incoraggiati e sostenuti nel loro personale viaggio di conoscenza e di relazione. Da qui parte una riqualificazione della società, che non può essere affidata solo alle leggi, ma a una cultura capace di migliorare la qualità della vita attraverso idee e comportamenti».

Insomma, qualcosa di un po’ più sensato di una sensation!