Nell’Estremo Nord del Camerun, la disabilità può essere una vera sciagura. Ma quella di Bachir è una storia di fede e forza di volontà
La difficoltà a camminare con le stampelle non scoraggia certamente Bachir Apollinaire, un giovane di 36 anni, nato in una famiglia di agricoltori a Yagoua nella regione dell’Estremo Nord del Camerun. L’origine della sua avventura è quella comune a molti altri disabili, ma la tenacia e i suoi progetti lo fanno apparire diverso da molti. Nonostante le difficoltà oggettive che ha incontrato nella vita, non si è mai scoraggiato, ma ha voluto sempre combattere, sostenuto da una volontà ferrea e da una fede matura.
Quando frequentava la quarta elementare ha cominciato ad avere i primi problemi alle ginocchia. Portato all’ospedale gli viene diagnosticata una “sospetta tubercolosi ossea”. Le suore che si occupavano della Caritas parrocchiale lo portano per una visita più approfondita da un medico specialista. Alla fine i medici concludono che quella malattia non si può curare in Camerun. La sola soluzione sarebbe di andare in Europa, in un ospedale specializzato. Mancando le risorse economiche necessarie, Bachir è condannato a convivere con la sua disabilità. Quindi deve abbandonare la scuola e trasferirsi con la mamma in un’altra città, dove resta in osservazione e cura per un anno. Però, non si sa per quale miracolo, la malattia non progredisce e si arresta. Nel frattempo la mamma muore e lui resta con il papà che è analfabeta. Non c’è più niente da fare. La famiglia si rassegna alla sua disabilità. Ma lui no.
Bachir vuole vivere, nonostante la povertà che lo circonda e non l’incoraggia. Tutti gli dicono che deve rassegnarsi a essere disabile, a “vivere” da disabile, costretto a dipendere dalle decisioni altrui. Poi per due anni, grazie a un piccolo prestito che ha ottenuto da un cugino, avvia un minuscolo commercio sulla strada davanti a casa. Con quello che guadagna riesce a far fronte alla sue necessità di base. A quel punto riesce anche a capire che Dio non l’ha abbandonato, ma lo accompagna, e la malattia non è un ostacolo, ma diventa la sua forza.
Nel frattempo, viene a sapere che nella città di Garoua, distante circa 300 chilometri dalla sua residenza, vi è un Centro di formazione tecnica dove propongono un anno di formazione nel settore elettrico. Anche se ha solo la licenza elementare, Bachir decide di andare a parlare con il direttore del Centro per chiedergli di poter frequentare il corso. «Non ho soldi per pagare la formazione, ma ho solo la volontà di imparare e la necessità di sopravvivere». Il direttore è colpito da questo ragazzo che non si scoraggia davanti alle difficoltà e, eccezionalmente, lo accoglie gratuitamente.
Durante la formazione, Bachir impara a riparare ventilatori, radio e orologi. Non ha alcuna conoscenza teorica, ma fa molta pratica, cercando di capire i “segreti” di questa professione. In seguito riesce a trovare un “artigiano riparatore” che lo accoglie nella sua bottega come apprendista per due anni.
Nel febbraio 2013, Bachir ritorna a Yagoua. Nella famiglia nessuno ancora pensa che lui possa svolgere qualche attività in proprio. Con qualche attrezzo che aveva potuto racimolare durante la formazione, comincia a riparare le apparecchiature elettriche degli abitanti del quartiere. Trova un locale in affitto al mercato e apre la sua attività che chiama “Il dottore degli orologi”. Un po’ alla volta, riesce a imparare anche l’uso del computer per individuare i guasti dei telefonini. Ormai il suo laboratorio è un punto di riferimento in città per tutti coloro che hanno problemi con i telefonini. Grazie a tutto questo riesce a vivere dignitosamente.
Bachir però non si è dimenticato della fatica che ha fatto per iniziare, e quindi decide di aprire il suo atelier ad altri giovani che non hanno avuto la fortuna di studiare. Il primo è Amadou, un giovane storpio, che non ha una famiglia di sostegno. Lo accoglie e lo forma, come hanno fatto con lui. «Dio mi ha sostenuto, e adesso tocca a me restituire».
In questa sua avventura non mancano le difficoltà. Qualche mese dopo aver avviato la sua attività, grazie a un credito dato dal Progetto a sostegno dei disabili della Fondazione Pime, aveva potuto investire nell’acquisto di alcune attrezzature e di materiale elettrico. Per due volte i ladri hanno scassinato la porta e hanno rubato tutto. La sua delusione è stata grande quando ha scoperto che, tra gli arrestati, vi era anche un giovane apprendista che stava aiutando. Dal momento che diverso materiale era stato recuperato, Bachir ha chiesto di liberare questi ladri. Davanti allo stupore dei poliziotti, ha risposto: «Sono la fame e la povertà che li hanno spinti a delinquere. Hanno più valore loro rispetto a quello che mi hanno rubato. Diamogli un’altra possibilità».
Non si è pentito di questa sua scelta. È molto orgoglioso nel parlare di Joseph, uno sei suoi apprendisti, che ha potuto studiare e ora lo supera nella conoscenza tecnica. Per riconoscenza, ogni tanto Joseph gli manda qualche contributo economico per migliorare il suo atelier. «Dio ha tanti modi di aiutare le persone; non si dimentica mai».
Durante questo suo percorso, Bachir ha potuto anche sposarsi e ora ha una famiglia con tre figlie di 5, 8 e 10 anni. «Il prossimo sarà un maschio!». Il suo “sogno” è quello che i suoi figli possano crescere con uno stile di vita fondato sulla volontà, il lavoro e la fede. Non solo: Bachir ha in mente anche altri “progetti a medio termine”. È infatti convinto che «per realizzare i sogni bisogna rimboccarsi le maniche».
Il primo è quello di poter riscattare i terreni che suo padre coltivava, perché «gli orologi non si mangiano, e i prodotti che ognuno coltiva sono più saporiti». Lo scorso anno ha chiesto al Progetto a sostegno dei disabili della Fondazione Pime un piccolo prestito per poter affittare mezzo ettaro di risaia. È orgoglioso che il “suo” riso stia crescendo bene e spera di poterne raccogliere 80 sacchi. Se tutto andrà secondo le previsioni, alla prossima stagione aumenterà la superficie della risaia. In ogni caso il coraggio e la tenacia non gli mancano. Il secondo progetto è quello di acquistare una motociclo per disabili. Le distanze tra il laboratorio, la casa, i clienti e i campi sono grandi e quindi fa fatica a poter seguire tutto. Ha cominciato a risparmiare qualcosa per poter accedere al credito. Non ha premura e prima o poi ci arriverà. Per lui è un punto di arrivo perché nessuno avrebbe mai scommesso su un povero disabile. La sua vita dimostra «che niente è impossibile a Dio, ma ognuno deve fare la sua parte».
Come scriveva il poeta danese Andersen: «La vita di ogni uomo è una favola scritta dalla mano di Dio». Questo è proprio vero per Bachir. La sua fede lo ha aiutato ad andare avanti con fiducia e a non dire mai «non ce la faccio più». Ha sempre saputo vedere il filo di speranza che spesso le difficoltà nascondevano. Così è stato anche capace di riconoscere le “mani” che volevano aiutarlo.
Bachir è un uomo semplice, ma concreto, e non vive di illusioni. La sua storia è un susseguirsi di “prove” che invece di scoraggiarlo lo hanno forgiato. È rimasto aperto alle “sorprese della vita”, e ha avuto il coraggio e la volontà di tentare strade nuove per sopravvivere. Le difficoltà poi lo hanno fatto crescere. Anzi ha riempito il suo orizzonte di nuove prospettive e così ha dato un senso alla sua vita che molti consideravano persa e inutile.