Sui monti del Nord la ricorrenza è celebrata tra tradizioni tribali e occidentali. Anche da chi non è cristiano, come racconta padre Sala
Alcuni anni fa il governo della Thailandia ha equiparato la festa cristiana del Natale a quelle buddhiste. Ma sebbene abbia lo stesso valore, almeno sulla carta, la nascita di Gesù non si festeggia allo stesso modo in tutto il Paese. «La scelta se chiudere o meno le aziende per la festività è lasciata ai datori di lavoro» spiega padre Valerio Sala, missionario del Pime presente in Thailandia dal 2008. «Quindi molti cristiani, nelle grandi città, sono costretti a prendere dei giorni di permesso. Per gli studenti è persino peggio. Spesso le scuole organizzano a Natale delle giornate speciali che col Natale non c’entrano nulla, come la “giornata dello sport”. I giovani così sono combattuti: partecipare o fare assenza in un giorno importante?».
Le cose cambiano quando ci si sposta dalle città alle periferie. O alle periferie estreme, come a Ban Thoet Thai, dove vive padre Sala: nel cuore delle montagne a due chilometri (in linea d’aria) dal confine con il Myanmar. «Nei villaggi la religione è ancora una cosa importante e c’è grande rispetto tra le diverse confessioni, anche perché spesso in una stessa famiglia ci sono più fedi» racconta. «In più il mistero dell’incarnazione è molto vicino alle credenze della religione spiritista degli akha, che crede in un unico Dio creatore. La cosa avvantaggia molto noi missionari nella spiegazione del Vangelo e nel creare collegamenti, ma rende anche facile per loro vivere bene la festa di Natale».
Una tradizione particolarmente sentita e apprezzata è quella del bacio al Bambinello. «Facciamo una grande processione con la statua, che viene accolta all’ingresso del villaggio, portata tra le case al ritmo dei tamburi e dei balli tradizionali, presentata all’anziano della comunità e poi deposta nella cappella dove, dopo la Messa, tutti danno un bacio a Gesù Bambino. È una cerimonia a cui partecipano tutti i cristiani, anche i meno praticanti. Forse un po’ per scaramanzia, ma venendo in chiesa anche loro hanno una chance di accogliere un messaggio».
Ovviamente i pochi sacerdoti non riescono ad essere ovunque la notte di Natale, per cui padre Sala, per tutto l’Avvento, viaggia cercando di raggiungere tutti i villaggi, spesso addobbati a festa con grandi stelle di bambù e liane, foderate di carta velina. Il 25, però, molte comunità sanno come arrangiarsi. «Gli akha hanno la tradizione di girare nelle case cantando canti natalizi. Alcuni sono i nostri immancabili “Astro del ciel” e “In notte placida”, tradotti e adattati dai missionari; altri sono canti tribali» racconta padre Sala. «Dopo i canti e i balli nelle capanne, a mezzanotte, fanno una liturgia speciale senza prete, per poi festeggiare tutti insieme. A questi pranzi e cene, dove non manca mai il maiale, senza il quale la festa non è festa, partecipano spesso anche i buddhisti e gli animisti. Proprio perché c’è grande rispetto tra le fedi qui nessuno storce il naso se vede passare una processione di un’altra religione. E il Natale riesce ad essere la festa di tutti».