Ho apprezzato padre Giancarlo Politi non solo come missionario, quanto e soprattuto come uomo della Parola, come amico e come padre
«Solo il Tuo volto,
solo il Tuo incontro, Signore», Donata Doni
Giancarlo si è spento la notte tra il 22 e il 23 dicembre scorso, a pochi giorni dal Natale. Vorrei di seguito raccontare come amico, forse come figlio, quel che lui mi ha lasciato. Anzi, quel che mi ha donato in venticinque anni di amicizia e di reciproco, intenso e puro affetto. Ho incontrato Giancarlo l’ultima volta a Rancio di Lecco il primo novembre scorso. Non parlava già più. Mi sono seduto e dopo un pò ho cominciato ad alternare la parola “grazie” ad un’Ave Maria. Per circa un’ora. Certo che avesse capito, l’ho salutato. Con Giancarlo ho compreso che è possibile anche tra noi sacerdoti l’incontro e lo scambio tra generazioni. Che la differenza di età non è un problema quando si rimane discepoli. Che già nel nostro Istituto, il Pime, ci è dato il centuplo quaggiù e un anticipo abbondante di vita eterna!
Missionario ad Hong Kong per 22 anni, nel 1993 Giancarlo fu richiamato in Italia per dirigere la rivista Mondo e Missione. Non aveva però mai dimenticato la missione, soprattutto la Cina, Paese che ha visitato innumerevoli volte portando spesso alle comunità cattoliche cinesi il conforto del papa e la sollecitdine della Chiesa universale. Ho però apprezzato Giancarlo non solo come missionario, quanto e soprattuto come uomo della Parola. Poi come amico e come padre.
Lo conobbi che ero un giovane prete appena ordinato. La sua amicizia è stata da subito un tutt’uno con la sua dolce paternità. Ha incoraggiato e benedetto i miei primi passi nel ministero. Ha sostenuto le prime intuizioni nel lavoro pastorale, una delle quali, portò alla fondazione dell’ufficio per l’educazione alla mondialità, ancora attivo presso il Centro Missionario Pime di Milano. Quel che ricordo di quegli anni è che la sera, rientrando dopo gli incontri di ministero, proprio grazie alla sua presenza sentivo che stavo rientrando a “casa”. Lo sentivo e accelleravo, dove c’era Giancarlo, c’era “casa”. Non solo e non tanto una comunità di sacerdoti ciascuno in camera sua, ma una “casa di amici e di fratelli”. Persino negli anni a venire, dopo la mia partenza per la Cambogia, Giancarlo ha saputo starmi vicino … anche da lontano!
Alla fine degli anni novanta, per tante volte insieme abbiamo accompagnato gruppi di giovani in Terra Santa. Quei pellegrinaggi sono stati il contesto nel quale ho assaporato l’amicizia e la paternità di Giancarlo come uomo della Parola. Della Parola di Dio fatta carne nella persona di Gesù di Nazareth. Lì ho raccolto quel che stava all’origine della sua stessa vita e vocazione. Mai si stancava di dire che «la fede è un incontro con la persona di Gesù». O di ripetere che «la carne di Gesù traduce il Verbo di Dio», come l’ho sentito dire nell’estate del 1998 sul Monte delle Beatitudini. La domanda sulla propria vita – ci aveva spesso detto – non è tanto «E io, chi sono?», ma «E tu, chi dici che io sia?» (Mt 16,15), rieccheggiando l’esperienza di Pietro per il quale la coscienza di sé non è passata attraverso una domanda su di sé, ma su di Lui! È l’incontro con la persona di Gesù e con quella domanda, «E tu Pietro, chi dici che io sia?», che avrebbero consentito a quell’uomo irruente di capire “il giusto di sé”!
In quei pellegrinaggi, e poi negli anni come padre spirituale in seminario, Giancarlo amava introdurre i giovani al mistero di Gesù così come raccontato dall’evangelista Giovanni. Trasudava il vocabolario giovanneo. Amava precisare, per esempio, che in San Giovanni le espressioni vita e vita eterna, sono equivalenti. Ché la fede, fin da ora, fa passare dalla morte alla vita (Gv 5,24) e in colui che crede il Padre e il Figlio fissano la loro dimora, fanno “casa” in lui (Gv 14,23). Questo raccontava ai giovani, spesso soffermandosi su alcune analisi filologiche che lasciavano intendere quanto amasse la Parola. Ne approffittava allora per spiegare ai giovani che per esempio sono due i vocaboli greci per dire vita, zoé e bìos, e che Giovanni predilige il primo al secondo. Perché con il primo, zoé, Giovanni indica la vita che Dio dona in Cristo ai credenti, la vita nuova della Grazia, mentre con il secondo, bìos, si allude alla vita puramente naturale, biologica. Spesso si lasciava andare con espressioni colorite, «non siamo dei tubi digerenti, non viviamo di solo pane» – diceva – ma della Parola che «era fin da principio, … che noi abbiamo udito, .. che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, … che noi abbiamo contemplato e … che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita» (1 Gv 1,1).
Questo ci ha detto e dato Giancarlo e in questo lo riconosciamo testimone credibile, amico dello Sposo e padre nella fede. Ora con fede lo penso nella terra della promessa, nel giorno senza tramonto, nella dimora di Dio con gli uomini. Sono certo che Egli tergerà ogni lacrima dai suoi occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate (Ap 21,3-4). Là «Solo il Tuo volto, / solo il Tuo incontro, Signore. Grazie. Ciao, Giancarlo!