Oggi l’arcidiocesi di Belo Horizonte in Brasile ricorda con un «pellegrinaggio per l’ecologia integrale» le 272 vittime del disastro di Brumadinho. Intanto però – nonostante la tragedia – il grande gruppo minerario brasiliano Vale, proprietario dell’impianto, ha chiuso il 2019 accantonando per gli azionisti dividendi per un importo superiore alle spese stanziate per indennizzi e opere di ricostruzione
È passato un anno esatto dalla tragedia di Brumadinho, il crollo della diga in una miniera di ferro del Minas Gerais in Brasile che il 25 gennaio 2019 in pochi secondi inghiottì la vita di 272 persone. Una tragedia frutto della sete di materie prime dell’economia globale, più importante di qualsiasi preoccupazione sulla salvaguardia dell’ambiente e persino delle più elementari misure di sicurezza intorno ai grandi impianti estrattivi.
L’arcidiocesi di Belo Horizonte – nel cui territorio si trova Brumadinho – sta ricordando oggi le vittime con un «pellegrinaggio per l’ecologia integrale» che si svolge sul luogo della tragedia. Un gesto a cui anche Papa Francesco ha voluto farsi personalmente presente, inviando un videomessaggio in cui esprime «solidarietà alle famiglie delle vittime, sostegno all’arcidiocesi e a tutte le persone che stanno soffrendo e che hanno bisogno del nostro aiuto», auspicando che «tramite l’intercessione di San Paolo, possa Dio aiutarci a riparare e a proteggere la nostra casa comune».
A un anno di distanza viene però anche da chiedersi: che cosa è successo alla Vale, il gigante minerario brasiliano proprietario dell’impianto e che già nel 2015 era stato dichiarato responsabile di un altro grave disastro ambientale in una miniera di ferro nello stesso Stato del Minas Gerais?
Sull’home page del sito internet della compagnia oggi campeggia la scritta «Non dimenticheremo mai Burmadinho». E sotto compaiono una lunga serie di notizie sulle opere messe in atto per la riqualificazione ambientale, gli indennizzi alle vittime, il parco che realizzeranno a Brumadinho, il nuovo portale sulle pratiche di responsabilità ambientale e sociale che verranno adottate. Solo un comunicato scarno commenta invece i provvedimenti sulla sciagura disposti dalla procura del Minas Gerais qualche giorno fa, ammonendo che «lasciano perplessi e altre indagini sono in corso».
La magistratura brasiliana ha infatti disposto il rinvio a giudizio dell’ex amministratore delegato Fabio Schvartsman e di quindici altre persone che lavoravano per l’azienda e che avrebbero ignorato i segnali che mostravano i rischi dell’impianto di Brumadinho. Insieme alla Vale nell’inchiesta è coinvolta anche l’azienda tedesca Tuv Sud, a cui erano stati affidati i controlli sulla diga. Gli inquirenti sostengono che avrebbe chiuso più di un occhio dopo aver sostituito nell’incarico un’altra azienda liquidata dalla Vale probabilmente proprio per aver evidenziato le criticità.
Al di là di queste responsabilità – che il processo dovrà accertare – c’è però un altro dato che colpisce ancora di più e sono i risultati fatti registrare comunque dalla Vale nell’esercizio 2019. Alla fine di gennaio 2019, all’indomani del disastro, il gigante estrattivo brasiliano fece registrare un tonfo in borsa come contraccolpo della tragedia. Si parlò ampiamente di altre miniere con caratteristiche molto simili in Brasile e che dovevano essere immediatamente bloccate per controlli e interventi. Bene: a dodici mesi di distanza fa impressione vedere come il colosso minerario si sia ripreso molto in fretta da questo shock. Un articolo pubblicato in questi giorni da Bloomberg racconta come il valore delle azioni alla borsa brasiliana sia ormai ritornato al livello precedente a quello del 25 gennaio 2019.
Ma c’è di più: nonostante il contraccolpo di Brumaldinho, nonostante gli impianti bloccati e gli interventi messi in atto nelle altre miniere che hanno portato a un taglio di 70 milioni di tonnellate nella produzione, dal terzo trimestre del 2019 la Vale ha ricominciato a produrre utili. E questo ha fatto sì che nei conti di fine anno siano spuntati fuori comunque 7,25 miliardi di reais (circa 1,5 miliardi di euro) da destinare agli azionisti come dividendi. La somma è di poco inferiore al risultato del 2018, quando agli azionisti andarono 7,7 miliardi di reais (1,65 miliardi di euro). E soprattutto è superiore al totale dei fondi stanziati dalla Vale per il 2019 per indennizzi alle famiglie delle vittime e per le opere di bonifica e ricostruzione: in tutto 6,55 miliardi di reais, cioè circa 1,4 miliardi di euro.
Sono cifre che rivelano la vera questione che si nasconde dietro al disastro di Brumadinho; un problema che va ben al di là delle responsabilità personali dei dirigenti della Vale, che la giustizia brasiliana stabilirà. È il nodo della domanda globale di materie prime – in questo caso il ferro utilizzato per la produzione dell’acciaio – che non guarda in faccia a nessun danno umano o ambientale e non si ferma di fronte a nulla. La Vale oggi guadagna comunque perché il taglio della sua produzione ha portato a uno squilibrio tra domanda e offerta che ha fatto salire i prezzi a livello globale. Produce di meno ma non ci perde nulla. Mentre Rio Tinto e Bhp – i suoi due principali concorrenti nella produzione di ferro, che in tante periferie del mondo non utilizzano metodi diversi – ci guadagnano ancora di più, facendo segnare risultati record. La conseguenza è che nell’anno del disastro di Brumadinho investire in azioni dei giganti minerari è rimasto estremamente redditizio per gli operatori finanziari che continuano a riversare liquidità verso questo tipo di imprese.
Finché questa catena perversa non cambia continueremo a piangere nuove Brumadinho. Illudendoci che le sue vittime siano solo effetti collaterali lontani, che nulla hanno a che fare con i mille oggetti di acciaio che passano ogni giorno tra le nostre mani. «Questa economia uccide» ripete spesso Papa Francesco. Per questo l’«ecologia integrale» oggi è più urgente che mai.
P.S. Proprio in questi giorni dal Brasile è giunta anche la notizia della morte di Edvard Dantas Cardeal, uno dei leader della comunità di Piquià de Baixo, nel Maranhao, che lotta contro la Vale (la stessa azienda) per l’inquinamento prodotto dalle sue attività estrattive. Uno studio spirometrico realizzato realizzato in loco dall’Istituto dei Tumori di Milano dimostra che il 28% della popolazione locale soffre di patologie respiratorie, una percentuale altissima, che rende vicino Piquià de Baixo al quartiere Tamburi di Taranto, dove approda proprio quel ferro estratto in Brasile per diventare poi acciaio. Alla fine anche i polmoni di Edvard Dantas Cardeal non ce l’hanno fatta più. Leggi qui un ricordo sulla sua figura sul sito giovaniemissione.it