Duemila ricercatori, startupper e innovatori sociali under 35 ad Assisi in risposta all’invito del Papa. «Immagineranno un nuovo modello di mercato, in armonia con la Terra e gli uomini», dice Luigino Bruni
La giovane ugandese Miriam Nabasirye ha fondato una società che, attraverso l’accesso all’istruzione e al microcredito, ha già aiutato 640 donne ad avviare un’attività autonoma, dal commercio alla pesca al settore tessile. Il brasiliano Fernando Rangel, invece, si è inventato Refúgio 343, un’organizzazione che promuove l’inserimento socioeconomico dei rifugiati venezuelani in Brasile. E mentre il 27enne Steve, camerunese, è diventato dirigente di una piccola impresa, l’azera Turkan Mukhtarova studia, alla Georgetown University, lo sviluppo economico in relazione alle questioni di genere, in particolare l’occupazione e l’emancipazione femminili in contesti domestici e sociali violenti.
Sono alcuni volti dei duemila under 35, ricercatori e startupper, innovatori sociali e promotori di progetti e attività al servizio del bene comune – dall’ambiente alle nuove tecnologie, dalla finanza inclusiva allo sviluppo sostenibile -, che hanno risposto all’invito di Papa Francesco. Li aveva invitati a un incontro che avrebbe dovuto tenersi ad Assisi dal 26 al 28 marzo; rinviato causa Covid-19 verrà celebrato on line dal 19 al 21 ottobre. Punta proprio a cogliere lo sguardo della nuova generazione globale sui grandi temi che interpellano il nostro zoppicante modello economico “The Economy of Francesco”. «Un’iniziativa che ho tanto desiderato – scrive il Pontefice nel suo messaggio per l’occasione -: un evento che mi permetta di incontrare chi oggi sta iniziando a studiare e praticare una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda».
Un tema che sta particolarmente a cuore a Papa Francesco, che già nella Laudato Si’ individuava in un modello finanziario distorto una delle cause principali delle diseguaglianze e della crisi ecologica, sociale e culturale che attanaglia il nostro pianeta. E che in numerose occasioni ha ribadito l’urgenza di superare uno stile che schiaccia l’uomo per inventarne uno nuovo, che lo metta al centro e lo valorizzi. La sede scelta per l’evento di marzo, in questo senso, non è casuale: «Qui infatti – dice ancora il Papa – Francesco si spogliò di ogni mondanità per scegliere Dio come stella polare della sua vita, facendosi povero con i poveri, fratello universale. Dalla sua scelta di povertà scaturì anche una visione dell’economia che resta attualissima».
Nella seconda metà del Quattrocento, furono proprio francescani come Giacomo della Marca, Giovanni da Capestrano e Bernardino da Feltre a dare vita ai monti di pietà, mentre due secoli prima personalità come Bonaventura da Bagnoregio e Guglielmo di Ockham avevano scritto di temi economici, riflettendo sulla funzione della moneta, sullo scambio e sul mercato.
«Quindi i francescani si collocano all’origine dell’economia di mercato come la conosciamo oggi e lo stesso san Francesco, figlio di mercanti, aveva compiuto gesti importanti nell’ottica dell’economia del dono», spiega Luigino Bruni. Professore all’Università Lumsa di Roma e coordinatore internazionale del progetto Economia di Comunione (che coinvolge imprenditori, lavoratori, studiosi impegnati a promuovere una prassi e una cultura economica improntate alla gratuità e alla reciprocità, praticando uno stile di vita alternativo a quello dominante nel sistema capitalistico), Bruni è il direttore scientifico di The Economy of Francesco. Un evento in cui giovani e giovanissimi – trenta degli iscritti hanno meno di 18 anni – potranno confrontarsi anche con esperti di sviluppo sostenibile di fama internazionale: ad aprire i lavori saranno i Premi Nobel Amartya Sen e Muhammad Yunus, il “banchiere dei poveri” che dopo aver trasformato, attraverso il microcredito, le donne rurali analfabete del Bangladesh in imprenditrici, negli ultimi anni ha creato fondi di capitale di rischio per le imprese sociali attraverso cui sono state finanziate in modo sostenibile 45mila start-up di ragazzi che prima non avevano un impiego.
Intuizioni visionarie di cui c’è più che mai bisogno, in un contesto generale dove a dettare legge sono speculazioni finanziarie che producono scandalose diseguaglianze sociali. Oggi – per farsi un’idea – 42 soggetti ai vertici della piramide detengono la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità. E l’ultima crisi finanziaria, mentre scaraventava nella povertà estrema masse di persone da un capo all’altro del globo, permetteva intanto a un piccolo gruppo di miliardari di raddoppiare di numero. Le grandi banche d’affari, che sono state la causa prima della crisi, non solamente hanno ricevuto ingenti fondi pubblici per essere salvate, ma hanno continuato a comportarsi come se nulla fosse accaduto.
Dove sta allora il problema? L’economia oggi è priva di un’etica? «La vera domanda è: quale etica per quale economia?», rilancia il professor Bruni. «Il capitalismo semplice dell’Ottocento e del Novecento, basato sull’etica della libertà e dell’innovazione dell’impresa, che ha portato i suoi frutti, oggi non regge più. Quando in ballo ci sono i beni comuni – le risorse naturali, l’ambiente – è necessario prendere più sul serio alcune categorie sociali e comunitarie. La recente alleanza tra capitalismo speculativo e una certa finanza creativa ha fatto detonare problemi che già esistevano e che avevano origine in stili di vita insostenibili e nella ricerca da parte delle aziende di una crescita senza regole né limiti».
La finanza etica, per la verità, da tempo riflette su come diffondere un modello alternativo e ha elaborato proposte concrete, dalla tassazione sulle transazioni finanziarie all’eliminazione dei paradisi fiscali fino alla separazione tra banche commerciali e attività speculative. Riforme che, tuttavia, secondo Bruni potranno trasformarsi in realtà nella misura in cui sarà l’opinione pubblica globale a chiederle con forza. «Assistiamo a una sensibilità crescente nel mondo su alcuni temi, per esempio sono in tanti a considerare scandalosa l’esistenza di paradisi fiscali non solo in qualche isola lontana ma anche nel cuore dell’Europa, e non parlo solo di San Marino ma del Lussemburgo, dell’Austria, dell’Irlanda o dell’Islanda. Una riforma economico-fiscale nasce sempre da tanti che cominciano a dire “basta” in modo forte e collettivo. Per questo serve uno scatto di consapevolezza, perché tuttora è più facile osservare una mobilitazione su temi come l’invasione delle plastiche o i pinguini a rischio piuttosto che su politiche fiscali scellerate».
Tuttavia, già si sono sviluppati strumenti come l’azionariato critico e attivo: una forma interessante di partecipazione degli investitori nella gestione di grandi imprese che tengano in considerazione le ricadute non economiche delle proprie scelte. «Usare le azioni per orientare le assemblee delle aziende verso istanze di bene comune è utile, ma è chiaro che su tematiche complesse come quella ambientale o appunto i paradisi fiscali è indispensabile l’elemento legislativo, politico, non bastano le minoranze del 2% delle imprese», fa notare il direttore scientifico di The Economy of Francesco. «Serve un’advocacy dal basso per muovere la politica». Per esempio, per spingere a far adottare alle agenzie di rating criteri di impatto sia sociale sia ambientale nella valutazione dei rischi associati alle emissioni obbligazionarie.
Una questione su cui la consapevolezza dei cittadini è notevolmente aumentata di recente è quella ambientale. I dati della European Social Survey dicono che circa il 90% degli intervistati in 28 Paesi – le percentuali italiane sono in linea con la media europea – oggi è convinto che il riscaldamento climatico dipenda dalle nostre responsabilità. E i comportamenti quotidiani si stanno pian piano adeguando a questa coscienza: l’abitudine alla raccolta differenziata, l’attenzione allo spreco e all’uso della plastica, il consumo responsabile che premia prodotti più sostenibili. Non solo. Se per lungo tempo l’investimento nella protezione dell’ambiente è stato vissuto come antitetico rispetto allo sviluppo economico, oggi invece le opinioni si sono rovesciate, visti anche i risultati positivi delle aziende che puntano sulla green economy. L’82% degli italiani è convinto che la sostenibilità possa favorire la crescita economica del Paese.
«Eppure, dobbiamo fare attenzione a non rimanere intrappolati nella stessa vecchia logica economica», mette in guardia Luigino Bruni. «Per esempio, se si investe nella green economy sempre nell’ottica della massimizzazione del rendimento, le cose non cambieranno. Se continuiamo a pensare che in certi settori si possa crescere all’8 o al 10% senza pagarne le conseguenze, ci accorgeremo presto che questa è una pia illusione. La vera green economy, invece, è un modo diverso di vivere, più rallentato e più sostenibile».
Il professore porta un esempio chiarificatore: «Proprio nell’organizzazione dell’evento di Assisi mi sono imbattuto in casi di alcune persone che non saranno presenti perché non vogliono prendere l’aereo: una cosa che prima non mi era mai capitata. Voglio dire che ci sono persone che già fanno certe scelte. Esistono comunità che si definiscono “in transizione” e che vivono come dovremmo fare tutti se non vogliamo aumentare la temperatura globale di più di un grado nei prossimi 20 anni. I membri di queste comunità operano scelte concrete, per esempio appunto quella di non fare più di un volo aereo all’anno. Se poi uno di loro deve farne due, ce ne sarà un altro che eviterà di viaggiare per quell’anno, per compensare l’impatto».
Allargando il discorso, «bisogna immaginare un modello di vita in cui si cresce meno e lo si fa in modo più sostenibile e più inclusivo, visto che le diseguaglianze sono aumentate. Non si può continuare a esultare perché l’America cresce al 3% vendendo armi e petrolio. E non si può non domandarsi perché questa economia cresce e altre, invece, sono affamate. Il tema dell’ingiustizia globale è enorme e si lega anche a quelli delle migrazioni e del terrorismo».
Nel tanto pubblicizzato “Green New Deal” varato dall’Unione Europea, Bruni non investe troppe speranze: «Sull’ovvietà che al “malato Europa” farebbe bene cambiare stile di vita penso che siamo tutti d’accordo, ma mi sembra che siamo ancora nella fase delle buone intenzioni, nonostante la serietà della nuova presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
Sono ormai dieci anni che è evidente che certi tipi di auto e di riscaldamento non sono sostenibili, eppure vediamo ancora auto diesel e case senza un’efficienza termica adeguata… Però ho molta fiducia nei giovani, che negli ultimi mesi hanno dimostrato una forte consapevolezza della drammaticità e irreversibilità della crisi ambientale, e sono tornati a essere il primo elemento di cambiamento e di innovazione sociale e politica».
E torniamo così all’evento di Assisi. «All’appello del Papa hanno risposto moltissimi under 35 da tutto il mondo: saranno presenti in duemila ma quelli che avevano fatto richiesta di partecipare erano il doppio… Anche se ci saranno alcuni testimoni più adulti, l’obiettivo di noi organizzatori è di non essere padroni del processo ma di lasciare libero il protagonismo dei ragazzi. Saranno giorni di ascolto, dibattito, un laboratorio di idee… e scatterà qualcosa che nessuno di noi prevede». Saranno i giovani a inventarsi una nuova anima per l’economia.