Riflettori puntati oggi sul nuovo appuntamento elettorale che ha ancora una volta al centro la sfida tra Netanyahu e Gantz. Ma la vera sorpresa del voto potrebbe arrivare dall’avvocato di Haifa che ha portato alla ribalta gli arabi israeliani, facendone la terza forza politica del Paese. E che tutti i sondaggi della vigilia danno in forte crescita
Una delle sere in cui Benjamin Netanyahu sui social network tuonava «contro la minaccia araba», da Haifa l’avvocato Ayman Odeh gli ha risposto postando su Twitter una foto dei suoi tre bambini nel lettone. Accompagnata da una didascalia: «Stasera sono impegnato con le mie tre minacce esistenziali per lo Stato d’Israele». All’inizio di questo mese Israele va al voto per la terza volta in meno di un anno. E lo fa con Netanyahu rinviato a giudizio per corruzione e un ex generale centrista, Benny Gantz, che riprova a togliergli lo scettro. Ma se c’è una novità che sta delineandosi chiaramente in questa lunghissima maratona elettorale è un leader emergente che non aspira a governare. Ma potrebbe lasciare lo stesso il segno sul futuro di Israele.
È un avvocato di 45 anni Ayman Odeh e alle elezioni si presenta per la terza volta come il leader della Lista Araba Unita. Con un’ambizione chiara: far uscire dall’angolo in cui storicamente è stata relegata la rappresentanza politica degli arabi israeliani. Fin dalla sua fondazione nel 1948 lo Stato di Israele ha infatti al suo interno anche una minoranza araba; lo aveva detto lo stesso David Ben Gurion, il grande leader sionista: a chi resterà in pace sarà garantita la piena cittadinanza. E così in effetti è stato per migliaia di arabi, soprattutto in Galilea. Questa minoranza, però, con il passare del tempo numericamente è cresciuta: oggi rappresenta più del 20% della popolazione di Israele. Ed è una presenza non sovrapponibile a quella dei palestinesi, i loro «cugini» che abitano nei Territori della Cisgiordania e di Gaza, che lo Stato ebraico controlla solo dal 1967. A differenza dei palestinesi, infatti, gli arabi della Galilea – musulmani ma anche cristiani – sono cittadini israeliani a tutti gli effetti. E quindi, almeno sulla carta, hanno diritto a dire la loro sul governo del Paese. Solo che fino a oggi la loro rappresentanza politica era sempre rimasta ai margini, scoraggiata anche da ampi settori della stessa società civile araba che invitavano al boicottaggio delle urne. Ma è un quadro che sta cambiando profondamente con Ayman Odeh.
Nato in una famiglia musulmana di Haifa – il grande porto del Nord di Israele dove ebrei e arabi vivono fianco a fianco – Odeh ha vissuto da arabo israeliano le due intifade. Nella prima, quella delle pietre, ha imparato a conoscere da ragazzino che cosa sia lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano. Nella seconda, quella scoppiata nel 2000, ha sperimentato sulla sua pelle la durezza della repressione ordinata dall’allora premier Ehud Barak in Galilea.
A quel punto la sua risposta è stata politica: nel consiglio comunale di Haifa ha iniziato a battersi per le pari opportunità degli arabi israeliani. Il salto nazionale è arrivato nel 2015, paradossalmente proprio grazie a uno dei suoi nemici giurati di oggi, l’ex ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman. Fu lui infatti a spingere per l’introduzione di una soglia di sbarramento del 3,25% nella legge elettorale israeliana. Cifra bizzarra che si capisce solo guardando i risultati delle precedenti elezioni: sotto questa quota finivano solo tre piccoli partiti arabi, inguaribilmente in lotta tra loro. A quel punto la scommessa di Odeh è stata lavorare per mettere insieme le forze; è nata così la Lista Araba Unita che non solo ha abbondantemente superato la soglia di sbarramento ma è diventata il terzo maggiore gruppo politico della Knesset, il Parlamento israeliano.
Gli arabi sono diventati così il bersaglio preferito di Netanyahu, che proprio contro di loro nel 2018 ha fatto approvare una legge costituzionale che definisce Israele come «lo Stato nazione degli ebrei». In pratica ha cercato di ridefinire il sionismo accentuandone il carattere identitario, in aperta contraddizione con la dichiarazione di indipendenza di Ben Gurion che affermava espressamente la «completa uguaglianza di diritti sociali e politici per tutti gli abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso». Tutto questo, però, non ha fatto altro che compattare ulteriormente gli arabi israeliani che con Odeh hanno iniziato a rivendicare con maggiore forza i propri diritti di cittadini. Per esempio oggi scendono in piazza per chiedere migliori servizi pubblici per le proprie comunità e una maggiore presenza dello Stato nella lotta alla criminalità comune, più diffusa nelle aree più povere del Paese (che guarda caso sono proprio quelle dove si concentra la popolazione araba).
Nello scorso autunno Odeh è arrivato a rompere un tabù indicando al presidente di Israele Reuven Rivlin il «sionista» Benny Gantz come candidato premier della Lista Araba. Ha precisato che gli arabi non sarebbero entrati nel governo ma lo avrebbero sostenuto dall’esterno pur di far voltare pagina a Israele dopo gli anni di Netanyahu. Gantz non ha mostrato entusiasmo, i numeri non sono stati sufficienti e Israele così oggi torna alle urne. Con una complicazione in più: il piano di pace presentato nelle scorse settimane da Donald Trump che – oltre a ipotizzare uno Stato palestinese ridotto, frammentato e spogliato di una presenza vera a Gerusalemme – prevede anche l’ipotesi del «trasferimento» di decine di migliaia di arabi israeliani alla Palestina, privandoli dei diritti di cui godono dal 1948. Per questo Odeh ha invitato gli elettori a rispondere in massa con il voto per la Lista Araba. Mentre dunque l’intransigenza di Trump e Netanyahu sugli insediamenti in Cisgiordania sta svuotando di significato l’idea di uno Stato palestinese e mentre a Ramallah si tocca con mano la debolezza di Abu Mazen e delle fazioni tradizionali palestinesi, in Galilea si sta affermando un nuovo leader arabo. Che riconosce Israele al punto da battersi per i suoi diritti di cittadino di questo Stato. E cerca alleanze nella società civile ebraica. Se dovesse uscire forte dalle urne, Odeh potrebbe diventare la figura in grado di rimescolare le carte e immaginare qualcosa di nuovo a Gerusalemme.