Cardiopad fa analisi cardiologiche a distanza, Qelasy contiene tutti i libri di testo ivoriani
In Africa, vengono ormai comparati a Steve Jobs, Bill Gates o Mark Zuckerberg. E anche se non hanno accumulato le stesse fortune di questi tycoon americani, mostrano comunque alcune somiglianze con i fondatori di Apple, Microsoft e Facebook. Sono giovani, audaci e “connessi”, hanno portato importanti innovazioni nel settore delle tecnologie digitali, prima di diventare essi stessi protagonisti delle loro start-up. Il punto in comune tra questi giovani imprenditori africani è che ciascuno di loro ha creato un tablet adattato alle esigenze dei loro Paesi. Il primo di questi tablet, chiamato “Inye” (che significa “numero uno” in lingua igala) è stato sviluppato nell’aprile del 2010 dal nigeriano Saheed Adepoju, che all’epoca aveva 27 anni. Nel 2011, è stata la volta di “Kaboo”, progettato dai keniani Jeanette Mawere (22 anni) e Kelvin Jayanoris (25) e “Way-C” (“luce dalle stelle” in una delle lingue di Brazzaville), opera del congolese Vérone Mankou (26). Nel 2013, il ghanese Derrick Addie (28) ha lanciato il “G-Slab” e il camerunese Arthur Zang (26) ha rifinito il suo “Cardiopad”. Nel 2014, infine, la Costa d’Avorio ha celebrato la nascita del “suo” tablet partorito dalla fantasia di Thierry N’Doufou (36 anni) e chiamato “Qelasy”, mentre in Sudafrica Sabelo Sibanda (30) e Thulisile (22) hanno messo sul mercato “Vuya” (“essere felici” in lingua xhosa) dotato di carica-batterie solare, che può quindi funzionare anche nelle zone rurali prive di corrente.
La possibilità di utilizzare energie alternative è una delle preoccupazioni condivise dagli inventori di tablet africani, perché i problemi di approvvigionamento di corrente elettrica continuano a porsi in maniera significativa in molte parti del continente. Per questo, tutti questi tablet realizzati in Africa hanno la peculiarità di avere un’autonomia di 6-8 ore e possono trasmettere i dati in un contesto di flusso molto basso. La seconda preoccupazione di questi inventori è stata quella di proporre dei dispositivi a un costo accessibile alla classe media africana. “Kaboo” può scendere sotto i 150 dollari e “Inye” costa la metà di un tablet americano o coreano. Oltre alle applicazioni che soddisfano le esigenze reali delle popolazioni alle quali sono destinati, questi dispositivi hanno spesso anche il merito e l’ambizione di migliorare l’istruzione e la salute di migliaia di africani. È il caso, ad esempio, di “Qelasy”, il tablet ivoriano, fonte inesauribile di informazioni, perché il suo creatore ha incluso, in forma digitale, il maggior numero possibile di libri presenti nei programmi scolastici e universitari del suo Paese. Si tratta di una vera e propria miniera d’oro per alunni e studenti della Costa d’Avorio. Ma il tablet che ha ottenuto un consenso universale e che ha fatto vincere diversi premi al suo ideatore è senza dubbio il “Cardiopad”. Il suo inventore, Arthur Zang, si è reso conto che nel suo Paese, il Camerun, ci sono solo cinquanta medici specializzati in cardiologia per una popolazione di venti milioni di abitanti. Molti dei quali sono soggetti a diverse patologie cardiovascolari.
Il suo tablet è dotato di sensori, che consentono al medico di auscultare, fare elettrocardiogrammi e curare i pazienti a distanza. Dopo il Camerun, “Cardiopad” ha suscitato l’interesse anche di altri Paesi dell’Africa e del mondo. Un esempio di come, in molte parti di questo continente, in città come in campagna, tanti giovani si sforzano di utilizzare le tecnologie digitali per cercare di risolvere i molti problemi della vita quotidiana. MM