Le autorità filippine stanno sviluppando una registrazione informatica geolocalizzata per un intervento nei casi di abuso e sfruttamento tra i suoi milioni di migranti che lavorano all’estero
Sembrerebbe un paradosso, ma l’emigrazione, tra le principali fonti di reddito e di valuta per l’arcipelago, è anche uno dei maggiori problemi per le autorità filippine. Meglio, lo è per le strutture preposte alla tutela dei filippini che hanno scelto l’emigrazione, tra temporanei e permanenti, circa il 10 per cento della popolazione complessiva che sfiora ormai i 110 milioni.
La difesa dei diritti e spesso dell’incolumità dei filippini all’estero, ancor più se per ragioni di lavoro essenziali per alleggerire la disoccupazione e, con i 34 miliardi di dollari di rimesse nel 2018, essenziale all’economia delle famiglie e del Paese, è sempre stata prioritaria ma anche problematica sul piano legale e diplomatico. Negli anni, infatti, in diversi casi Manila ha cercato di far valere diritto internazionale e accordi bilaterali per mettere fine a abusi e sfruttamento, con risultati altalenanti, ma sempre con difficoltà quando non in posizione di aperta debolezza.
Per questo, le autorità preposte alla gestione dell’emigrazione hanno cercato nuove possibilità di controllo e tutela, più diretti e immediati, mediati da una tecnologia facilmente accessibile.
In fondo, un’estensione dell’uso dei social media assai diffuso tra la popolazione filippina, a sua volta come estensione di una socialità accentuata e di rapporti familiari e di vicinato raramente interrotti nel tempo o dalla distanza.
Lo sviluppo di una applicazione che possa veicolare una richiesta di aiuto immediata è tra le priorità degli specialisti informatici “arruolati” dall’amministrazione per la cura dei lavoratori all’estero e l’utilizzo sarà gestito dalle agenzie di reclutamento, responsabili prime del controllo delle condizioni degli emigrati. “L’applicazione consentirà di identificare con precisione i lavoratori che vorranno essere individuati, che vogliono far sapere dove sono e hanno la necessità di essere aiutati o salvati – ha sottolineato il direttore dell’Amministrazione, Hans Leo Cacdac – . Mettendoli in condizione di essere rimpatriati, di mettersi in contatto con le ambasciate o cercare una rifugio temporaneo”. La sfida è anzitutto tecnologica ma i potenziali limiti riguardano anche privacy, connettività e costi del servizio.
Il governo sta però anche cercando una soluzione, non solo repressiva, al problema dei reclutatori illegali, che veicolano all’estero un gran numero di individui facilitandone l’espatrio e l’inserimento ma senza fornire alcuna garanzia in caso di problemi, lasciando molti in balia dei datori di lavoro. Tutt’altro che isolati i casi di inganno, come ad esempio l’applicazione di contratti-capestro diversi da quelli sottoscritti dai migranti prima della partenza. Ad esempio quelli indicati come “vola adesso, paga dopo” che, in cambio della consegna del biglietto di andata pongono pesanti clausole-capestro sui viaggiatori una volta a destinazione, senza tutele reali che impediscano il loro sostanziale sequestro fino alla restituzione di somme assai maggiori di quelle del solo documento di viaggio e dei servizi offerti nel paese d’origine. Nulla, tra le contingenze internazionali – nemmeno conflitti, epidemie o tensioni diplomatiche – hanno nel tempo arrestato il flusso internazionale dei filippini, anche se con una tendenza percentualmente in calo in tempi recenti.
Una situazione che apre a una impressionante casistica di abusi che vanno da salari parzialmente o totalmente non corrisposti allo sfruttamento sessuale e alla persecuzione religiosa. Servizi basati su tecnologie efficaci e di uso pratico possono giocare un ruolo fondamentale, sia per controllare i processi di reclutamento, sia per assicurarne trasparenza, uniformità e legalità.