A Bergamo – dove il virus sta mietendo tantissime vittime – il vescovo Beschi oggi alle 17,30 sale al santuario di Sotto il Monte per invocare l’intercessione di Papa Giovanni in questo momento di prova. Un gesto in continuità con il legame che Roncalli ebbe durante tutta la sua vita con gli ammalati. Fin da quando – giovane sacerdote – diede un contributo importantissimo alla nascita dell’Unitalsi
L’emergenza Coronavirus ha colpito in maniera molto dura la provincia di Bergamo. Molte persone sono ricoverate e stanno anche morendo nel grande ospedale della città che porta il nome di Giovanni XXIII. Proprio per questo oggi pomeriggio alle 17,30 il vescovo Francesco Beschi si recherà nel santuario di Sotto il Monte dedicato a San Giovanni XXIII per un momento di preghiera che sarà trasmesso anche in diretta televisiva da Tv2000. Ancora una volta stiamo affidando le persone più fragili all’intercessione del Papa Buono, ricordandoci di quanto durante tutta la sua vita sia stato vicino alle persone afflitte dalla sofferenza fisica. Ce lo testimoniano anche i tanti ammalati che – prima di questi giorni di forzato isolamento – passavano proprio a Sotto il Monte dalla Casa natale che Papa Roncalli poco prima di morire affidò ai missionari del Pime. Lì invocano la sua intercessione, come raccontano anche i tanti ex voto custoditi nella Sala delle grazie.
Lo sguardo attento a chi soffre a causa della malattia ha accompagnato tutta la vita di Papa Giovanni. E lo rivela già un episodio legato ai primi anni del suo sacerdozio, quando a Bergamo il futuro Pontefice era ancora il segretario del vescovo, mons. Giacomo Radini Tedeschi. Fu allora che don Angelo Roncalli diede un contributo decisivo alla nascita dell’Unitalsi, l’associazione che organizzando i pellegrinaggi per gli ammalati a Lourdes e agli altri santuari in Italia e nel mondo mostra tuttora un modo molto concreto per essere loro vicini.
Accadde nel 1903 attraverso l’incontro con Giovanni Battista Tomassi, un giovane ammalato romano di ventitré anni, figlio dell’amministratore dei principi Barberini, affetto da una forma artritica acuta e irreversibile e in carrozzella già da quasi dieci anni. Una persona molto sofferente nel corpo che proprio per questo covava un forte rancore verso Dio e verso la Chiesa. A quell’epoca in Italia, con le nuove possibilità offerte dai moderni mezzi di trasporto, cominciava a prendere piede l’idea dei pellegrinaggi internazionali e il vescovo Radini Tedeschi pensò di organizzarne uno a Lourdes rivolto in maniera particolare agli ammalati. Avendo saputo dell’iniziativa il Tomassi chiese di parteciparvi ma con un’intenzione ben precisa: se non avesse ottenuto la guarigione, avrebbe compiuto un gesto di clamorosa sfida suicidandosi davanti alla grotta delle apparizioni della Madonna. Per questo motivo dall’Italia si era portato in tasca una pistola.
A Lourdes accadde però un fatto che ribaltò completamente il suo piano: davanti alla statua della Madonna non ottenne la guarigione, ma fu ugualmente colpito dalla presenza dei volontari che aiutavano i malati ad entrare nella grotta per pregare. Tomassi capì così quanto la condivisione amorevole dei volontari portava conforto, speranza e serenità agli ammalati e non se la sentì più di compiere il gesto che aveva programmato.
Per tutti i giorni del pellegrinaggio tenne nel cuore il suo travaglio interiore, finché al momento del rientro, alla stazione ferroviaria chiese di parlare con mons. Radini Tedeschi. A lui consegnò la sua pistola dicendo: «Ha vinto la Madonna. Tenga, non mi serve più. La Vergine ha guarito il mio spirito». Il vescovo lo affidò allora al suo segretario, don Angelo Roncalli, che aiutò Tomassi a fare luce su quanto gli era capitato. Insieme iniziarono a sognare in grande: quello che la Madonna aveva fatto capire a lui doveva diventare un tesoro prezioso anche per tanti altri ammalati attraverso un’associazione che rendesse accessibile a tutti l’esperienza del pellegrinaggio a Lourdes.
Rientrato a Roma Giovanni Battista Tomassi rimase in contatto stretto con Roncalli che lo consigliò sui passi giusti da compiere per dare vita a quell’associazione e farne un segno importante per la Chiesa. Ed è un cammino che continua ancora oggi attraverso i pellegrinaggi e le altre iniziative che l’Unitalsi continua a promuovere in favore degli ammalati.
A loro, ormai divenuto Papa, Giovanni XXIII avrebbe poi indicato in maniera particolare la contemplazione della Croce di Gesù come sostegno nella malattia. «Guardatela, diletti figli, nelle vostre sofferenze – disse in un discorso pronunciato il 19 marzo 1959 -. Per ricavare dalla meditazione della Croce tutto il frutto spirituale promesso alla sofferenza cristiana, occorre avere in voi il dono della grazia, che è la vita propria dell’anima cristiana. Nella grazia troverete forza, non solo di accettare le sofferenze con rassegnazione, ma di amarle come le amarono i Santi; i vostri dolori non andranno perduti, ma potranno unirsi ai dolori del Crocifisso, ai dolori della Vergine, la più innocente delle creature; e la vostra vita potrà così diventare veramente conforme alla immagine del Figlio di Dio, re dei dolori, e la più sicura via per il Cielo».