Missionari e Coronavirus, il martirio dell’ultima ora

Missionari e Coronavirus, il martirio dell’ultima ora

I saveriani della casa di Parma, le comboniane a Bergamo, sacerdoti che sono stati fidei donum in Africa come don Giancarlo Quadri a Milano: tra le vittime del Coronavirus in Italia ci sono anche tanti missionari anziani. In questa Giornata in cui facciamo memoria dei martiri del nostro tempo ci ricordano che ovunque la vita di un missionario è donata insieme alla propria gente

 

Hanno vissuto in contesti di frontiera come la Repubblica democratica del Congo o la Sierra Leone. Posti dove hanno fatto spesso i conti con la guerra e i mille altri volti della precarietà della vita in mezzo agli ultimi. Invece oggi ci troviamo a piangerli qui in Italia, vittime anche loro del Coronavirus. C’è qualcosa che a prima vista appare paradossale nel dolore che in questi giorni unisce le congregazioni missionarie per la perdita di tanti confratelli a causa dell’epidemia.

La più colpita è stata la casa dei saveriani a Parma, dove sono già tredici i missionari dell’istituto morti in questi giorni a causa del virus. Una tragedia simile a quella vissuta dalle casa delle comboniane a Bergamo, dove otto religiose hanno perso la vita a causa della malattia. E poi tanti altri: don Giancarlo Quadri a Milano, già sacerdote fidei donum nello Zambia prima del suo impegno nella pastorale dei migranti; padre Bernardo Maines, frate cappuccino di Trento per tanti anni in Mozambico; padre Remo Rota, missionario sacramentino lecchese, anche lui a lungo nella Repubblica democratica del Congo; padre Edmondo Zagano, passionista cremonese, che aveva svolto il suo ministero in Kenya… Ma sono solo alcuni nomi di un elenco purtroppo molto più lungo e difficile da tenere ormai aggiornato.

Per la stragrande maggioranza si tratta di missionari rientrati in Italia per gli acciacchi dell’età; sacerdoti, laici consacrati o religiose che vivevano insieme in comunità. Case dove i loro ricordi hanno aiutato tanti fratelli e sorelle più giovani a scegliere di spendere la vita per l’annuncio del Vangelo e partire. Anche per questo, allora, chi ha a cuore la missione ad gentes non può guardare a queste morti solo come a un tassello della triste cronaca di questi giorni.

Proprio in questo 24 marzo in cui – nel segno dell’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero, ucciso 40 anni fa – ricordiamo tutti i missionari martiri, vogliamo guardare anche ai loro volti e chiederci con gli occhi della fede se anche questa loro morte, apparentemente inaccettabile proprio perché così banale, non contenga invece un messaggio forte su che cos’è davvero la missione. Perché l’abbiamo ripetuto tante volte in questi anni: i martiri – anche quelli che ci siamo ritrovati a piangere perché uccisi con violenza in odio alla fede o per la loro fedeltà al servizio dei poveri – non sono mai degli eroi, ma dei testimoni fedeli di una Parola più grande.

In forza di questo, allora, anche questi martiri dell’ultima ora – chiamati quando sembrava che la loro vita attiva in missione fosse finita – forse hanno un messaggio da consegnarci: il Vangelo della condivisione. Ci hanno ricordato che il missionario non muore mai da solo; muore accanto alla sua gente, condividendone la stessa sorte. Non si dona mai la vita da soli; succede sempre dentro una comunità. L’avevano imparato in missione questi nostri fratelli e sorelle; ora – in questo tempo così difficile – ce lo racconteranno ancora dal Cielo.

 

Nella foto: padre Stefano Coronese e padre Gerardo Caglioni, due dei saveriani morti per il Coronavirus a Parma