Ci hanno raccontato che eravamo la prima potenza mondiale. Che il nostro sistema era il migliore al mondo. E poi abbiamo scoperto che non avevamo abbastanza posti letto, respiratori, medici, infermieri, guanti e mascherine. Come recita il motto della città di Detroit: «Speramus Meliora, Resurgit cineribus»
Gli Stati Uniti d’America sono diventati ormai da diverse settimane l’epicentro di questa pandemia. I numeri della John Hopkins University ci presentano un quadro tutt’altro che rassicurante. Al 27 aprile i casi conclamati sfiorano il milione, con un totale di oltre 55 mila morti e una media di circa 1800 morti al giorno. In un primo momento i numeri erano soltanto numeri, poi lentamente sono diventati John, Maryann, Mel, la figlia di Rosa, il figlio di Bonnie… Persone care, amici, parrocchiani. Storie, volti.
A causa del mio sistema immunitario molto debole, mi sono ritrovato in isolamento molto prima del così tanto contestato “Stay Home, Stay Safe” Executive Order, appena promulgato dal governatore Whitmer. Mi chiedevo «Adesso che sono chiuso in casa, come potrò essere vicino alla mia gente?». E la risposta non ha tardato ad arrivare.
Mai avrei pensato di dormire con il cellulare acceso e il libretto per le Unzioni degli infermi sul comodino. Il lavoro negli ospedali e nelle strutture sanitarie è moltissimo e i mezzi e il personale non sono sufficienti. A volte devi aspettare il cambio turno di notte prima di trovare un infermiere in grado di dedicarti cinque minuti di tempo per raggiungere un paziente e poter anche solo pregare insieme a lui. A volte purtroppo non si fa in tempo e nel silenzio resti lì ad aspettare.
Il coronavirus è anche questo. È stare al telefono per cinque interminabili minuti. Pregando e cercando una parola, una parola buona. Un eu-anghèlion, per qualcuno che non ha più parole. E senti il respiro affannato. E ogni respiro è così reale, concreto. E tu sei lì, pregando e sperando che la tua voce possa portare almeno un po’ di sollievo. È un po’ come rimanere sospesi. La telefonata termina e lascia come un vuoto dentro. E ti rendi conto di essere parte di tutto questo. E non sono più numeri, e non sono più statistiche e test, tamponi e mascherine.
Papa Francesco nella sua meditazione offerta in occasione della speciale benedizione Urbi et Orbi ha detto: «La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità». Ebbene sì, siamo nella tempesta. E la tempesta ha smascherato le nostre vulnerabilità.
Ci hanno raccontato che eravamo la prima potenza mondiale. Che il nostro sistema era il migliore al mondo. E poi abbiamo scoperto che non avevamo abbastanza posti letto, respiratori, medici, infermieri, guanti e mascherine. Che pena sentire gli amici medici, infermieri, impegnati in prima linea, vedere i propri colleghi contrarre il virus uno dopo l’altro e continuare a lavorare senza protezioni adeguate. Finché anche loro non hanno contratto il virus. Sì, la tempesta ha smascherato la vulnerabilità di un sistema, di un Paese e in un certo senso le vulnerabilità di ciascuno di noi.
Si è fatto tanto, si sta facendo tanto. Occorre fare di più. La realtà è molto complessa e ogni riduzione rischia di essere banale e pericolosa. Abbiamo sentito dire migliaia di volte quanto sia importante lavarsi le mani. Ma come puoi lavare le mani se non hai l’acqua in casa? La città di Detroit da metà marzo, con un piano speciale, ha deciso di ridare l’acqua a tutte quelle famiglie che, non avendo pagato le bollette, si sono ritrovate senza. Ma ad oggi circa 2500 case non hanno ancora acqua. E non è semplice, perché tante case hanno problemi alle tubazioni, che sono fuori uso da anni. E questa gente è molto più esposta al virus, come lo sono anche i tecnici che vanno a cercare di riattivare le loro utenze, insieme alle loro famiglie e a ciascuno di noi. Il Papa dice: «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda». Mai come adesso abbiamo bisogno di unità. Mai come adesso abbiamo bisogno di sostenerci gli uni gli altri. Mai come adesso abbiamo bisogno di aiutare chi sta peggio.
Al centro della bandiera della città di Detroit ci sono due donne: una a sinistra che piange con alle spalle la Detroit distrutta dalle fiamme dell’incendio del 1805. A destra un’altra donna che la consola, ponendole una mano sulla spalla, e che la invita a risorgere. «Speramus Meliora, Resurgit cineribus», questo è il motto della città. Speriamo (in tempi) migliori, risorgerà dalle ceneri. In questo motto vedo racchiuse le caratteristiche dei michiganders: gente accogliente, generosa, operosa, resiliente e soprattutto ricca di fede, di speranza. Sì, speriamo in tempi migliori, risorgeremo dalle ceneri!