Dopo 17 anni a Hong Kong, suor Giovanna Minardi ha vissuto un’esperienza accanto ai disabili a Canton, dove ha sperimentato la fatica, ma soprattutto la gioia di testimoniare il Vangelo con la vita
Nei miei 21 anni di missione a Hong Kong e in Cina, ho avuto la grazia di sperimentare due realtà di impegno completamente diverse l’una dall’altra. A Hong Kong, ho vissuto in un contesto democratico e di libertà di azione, pensiero, parola, apostolato. Noi missionari abbiamo sempre operato con libertà sia in campo pastorale che sociale, con sostegno e stima anche da parte del governo. Personalmente ho lavorato 17 anni in diverse parrocchie come membro dell’équipe pastorale e come responsabile di sotto-parrocchie: un servizio alla missione di Hong Kong che mi ha arricchito molto perché, a contatto diretto con la gente, ne ho potuto conoscere la cultura, le tradizioni e i valori.
Ho sempre sognato, tuttavia, di poter un giorno lavorare come missionaria nella grande Cina. Questo era stato anche il grande desiderio di una delle fondatrici delle Missionarie dell’Immacolata, madre Igilda Rodolfi, che – per motivi di salute o per un piano misterioso di Dio – non lo ha mai potuto realizzare. Per me, essere missionaria in Cina significava in qualche modo rispondere a quel sogno di madre Igilda.
Mentre ero a Hong Kong, non perdevo occasione per andare in Cina a visitare alcuni villaggi o comunità religiose e per prendere atto della situazione del popolo e della Chiesa cinesi.
Negli anni 2001-2003, mi sono recata, ogni sabato, in un villaggio della provincia di Canton (Siu Heng) per prestare servizio in un centro che ospitava bambini poveri. Il centro era gestito dalle suore salesiane anche se nessuno conosceva la loro identità di donne consacrate. Impiegavo circa quattro ore ad andare e altrettante a tornare a Hong Kong per dedicare a quei bambini qualche ora, giocando con loro, aiutandoli a fare i compiti e soprattutto per l’inglese. Certo, era impegnativo, ma ne valeva la pena. La sera, quando rientravo nella mia comunità di Hong Kong, dimenticavo la fatica e mi restavano la gioia e la soddisfazione di aver dato qualcosa di me stessa a quei bambini poveri e lontani dai loro genitori.
Finalmente nel 2010 il desiderio di essere missionaria in Cina si è avverato. E così gli ultimi miei quattro anni di missione li ho potuti vivere nella grande città di Canton. Sono stata inviata dalle Missionarie dell’Immacolata di Hong Kong per sperimentare la possibilità di una presenza stabile, attraverso un servizio ai fratelli più bisognosi. Abitavo in un appartamento in affitto, da sola, perché il governo non permetteva a noi stranieri di essere lì come comunità; facevo volontariato presso Huiling, una ong che si prende cura di persone diversamente abili, dove per anni hanno operato anche alcuni missionari del Pime, come padre Fernando Cagnin, padre Mario Marazzi e padre Franco Bellati.
La sfida di quei quattro anni a Canton è stata dura, ma bella: finalmente il mio sogno si stava realizzando. È vero, mi mancavano il respiro della democrazia, la libertà di azione, pensiero e parola, e anche la possibilità di fare apostolato. Tuttavia, non mi perdevo d’animo nel dedicare la mia vita ai fratelli e annunciare il Vangelo dell’Amore con la testimonianza di vita attraverso le relazioni, la cura, la buona parola donata, il lavoro fatto con dedizione e responsabilità.
All’interno di Huiling ho lavorato sia nel laboratorio dove i ragazzi diversamente abili realizzano, con l’aiuto degli operatori, oggetti artistici e religiosi, sia nel panificio che abbiamo chiamato Emmaus. Il contatto con questi ragazzi è stato per me occasione continua di meditazione e stupore. Vedevo le loro capacità, la loro gioia nell’ottenere un risultato, ma anche la loro semplicità e il bisogno di imparare. Per i ragazzi di Huiling ero la zia, perché ho i capelli bianchi, ma bastava poco per diventare amica, facendo sentire loro che li amavo gratuitamente, così come erano, che li apprezzavo e li incoraggiavo.
Non potevo parlare espressamente del Vangelo – perché il governo comunista cinese non lo permette a noi stranieri -, ma lo Spirito Santo operava ugualmente, insinuando, ad esempio, la curiosità di conoscere un Dio che ama e che si dona per amore. Durante quegli anni, alcuni operatori e qualche ragazzo hanno deciso di fare il cammino del catecumenato e hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, diventando cattolici.
Ho sperimentato come lo Spirito muove il cuore delle persone anche con il silenzio, ed entra come piccolo seme per poi maturare secondo i tempi e i disegni di Dio.
Ricordo anche la curiosità dei miei vicini di casa; io abitavo al quinto piano di un palazzo di nove, senza ascensore. Un giorno, mentre ero sulle scale, una vicina che saliva con me a un certo punto mi ha chiesto se poteva farmi una domanda. Le ho detto di sì. Lei allora mi ha domandato se ero cattolica. La domanda poteva essere un tranello. Ma le ho risposto con sincerità. Le ho detto che venivo dall’Italia che è un Paese fondamentalmente cattolico. A quel punto le ho chiesto perché mi aveva fatto quella domanda; la signora mi ha risposto che tutte le volte che mi incontrava le trasmettevo gioia e pace, anche solo col saluto. Questo, secondo lei, era dovuto al fatto che fossi cattolica. Allora mi ha detto che lei non aderiva a nessuna religione, ma se un giorno avesse fatto una scelta, sarebbe stata quella di diventare cattolica. Durante quei quattro anni a Canton, oltre al servizio a Huiling, andavo periodicamente a visitare un lebbrosario a un’ora di distanza. Trascorrevo con i lebbrosi un intero pomeriggio, ascoltando le storie della loro vita, spesso molto sofferte e tristi. Alcuni di loro vivevano in quel lebbrosario da circa sessant’anni, e nonostante fossero guariti da tempo, i familiari e il villaggio li rifiutavano e non permettevano loro di tornare a casa per paura del contagio. Si erano quindi rassegnati a rimanere lì per sempre.
Un altro servizio che ho compiuto a Canton e che non avrei mai pensato di poter fare – sapendo che era vietato fare apostolato – è stata la guida di una comunità cattolica internazionale. Canton è piena di stranieri che vengono da tutto il mondo; in genere sono lì per lavoro oppure sono diplomatici con le loro famiglie. Ero arrivata a Canton da pochi giorni quando, per caso, ho conosciuto una signora italiana che mi ha raccontato della presenza di diversi stranieri con figli che avrebbero dovuto prepararsi a ricevere i sacramenti della comunione e della cresima. Da quell’incontro sono nate la comunità cattolica internazionale, con la Messa in inglese celebrata da un missionario gesuita – inizialmente una volta al mese nelle loro case e poi due volte al mese in una chiesetta – e la catechesi per i loro figli. Infatti, col permesso del vescovo di Canton, col quale avevo un buon rapporto di amicizia e stima, ho potuto guidare e seguire quella comunità operando in una chiesetta (Sha Mien) a condizione che nessun cinese partecipasse alla Messa e alla catechesi. E così è stato.
I pochi anni vissuti in Cina mi hanno fatto capire quanto sono preziose la testimonianza di vita e la gioia del Vangelo.