I child marriages riguardano 2 minori su 5, soprattutto nelle aree rurali e tra le famiglie povere. Il vescovo di Monze: il contrasto parte dalle scuole
Studiare, passare il tempo con i coetanei, sognare un futuro: la vita di ogni giorno non dovrebbe essere molto diversa da questa per chi ha 13 o 14 anni. Ma in molte aree rurali dello Zambia, può accadere che questa sia, invece, l’età del matrimonio. I child marriages, come si chiamano nella terminologia ufficiale, riguardano, secondo le statistiche ufficiali, almeno il 40% delle bambine zambiane, destinate a diventare spose prima che maggiorenni.
Partirà dalla storia delle loro vite (e da quelle dei coetanei maschi, anche se molto meno numerosi) il vertice internazionale previsto a Lusaka, il 26 e 27 novembre per cercare di mettere fine a questa violazione continua dei diritti dell’infanzia. In vista dell’incontro, il governo ha chiesto alle varie confessioni religiose di costituire un comitato che affronti la questione. La ricerca di soluzioni, inevitabilmente, dovrà riguardare vari piani, come nota mons. Moses Hamungole, vescovo della diocesi di Monze. “La questione – spiega infatti – investe l’intera concezione del matrimonio, della società, del valore dato all’istruzione, soprattutto per le bambine”.
I matrimoni precoci, chiarisce il presule, “hanno cause sia economiche, che culturali, che sociali: riguardano famiglie povere, dove le bambine non sono incoraggiate a proseguire gli studi, perché non si dà molta importanza all’educazione delle ragazze. E una volta fuori dalla scuola, l’unica cosa che possono fare è sposarsi, mentre la famiglia riceve dai parenti dello sposo una somma di denaro: non molto, ma si tratta, appunto, di persone in condizioni di povertà…”.
Di qui i vari settori su cui mons. Hamungole invita ad intervenire: “Il primo – argomenta – è quello delle strutture scolastiche: la scelta di non mandare i figli a scuola spesso non è il risultato di una convinzione, ma del fatto che questa non esiste o che, finita la primaria, non si può frequentare la secondaria, né poi il college”. L’investimento, però, non deve essere soltanto materiale: “C’è bisogno – prosegue il vescovo – anche di buoni insegnanti, che spingano i bambini a riconoscere il valore dell’istruzione”. Poi c’è il livello economico, che significa soprattutto occuparsi delle cause della povertà. “Per chi è povero – ribadisce il prelato – anche pochi soldi diventano importanti e la tendenza è quella a privilegiare i modi rapidi di trovare denaro”.
Educazione e riduzione della povertà sono due dei campi in cui la Chiesa è tradizionalmente attiva. Ma il suo punto di forza è soprattutto l’organizzazione territoriale: “Bisogna puntare sulle parrocchie locali – esorta il vescovo di Monze – e coinvolgere, per affrontare anche gli aspetti culturali, i leader tradizionali: sono loro che possono rivolgersi ai genitori, perché decidano di non accettare il matrimonio”. L’invito a collaborare, infine è esteso anche allo stato: la legge sull’età minima per le nozze, in effetti, esiste ma i limiti previsti – 16 anni per i ragazzi e 14 per le ragazze – sono ancora troppo basi per prevenire veramente i matrimoni precoci, notano i rappresentanti della Chiesa.