Hong Kong, i corsi e ricorsi sulla «sicurezza»

Hong Kong, i corsi e ricorsi sulla «sicurezza»

Anche dopo la Sars – nel 2003 – Pechino cercò invano di introdurre una «legge sulla sicurezza nazionale» che imbavaglierebbe la democrazia a Hong Kong. Oggi Xi Jinping sta cercando di svuotare di poteri il Parlamento locale, dove a settembre l’opposizione avrà la maggioranza. E Carrie Lam dice che collaborerà all’implementazione della legge

 

Uno sciagurato ricorso storico si sta compiendo a Hong Kong. Come nel 2003 dopo l’epidemia della SARS, si tentò di introdurre una legge sulla sicurezza nazionale, così sta avvenendo oggi dopo il coronavirus. Ma questa volta, temiamo, non ci sarà un lieto fine. È difficile trovare altre parole che non abbiamo già scritto per raccontare il pericolo a cui Hong Kong è esposta. Per qualcuno siamo allarmisti: a Hong Kong non si sono visti i carri armati, e dunque si può pensare che le cose non siano sfuggite di mano. Il mondo ha la testa altrove e noi sembriamo ripetitivi.

Lo scorso 18 maggio, 15 noti leader dell’opposizione democratica sono apparsi in tribunale (ne avevamo scritto qui). Il loro caso sarà ripreso il 15 giugno: per cinque di loro, tra cui il nostro amico Lee Cheuk-yan, i capi di accusa sono stati ampliati, e prevedono pene molto severe, fino a cinque anni di reclusione.

Ma le notizie peggiori vengono da Pechino, dove è in corso il Congresso nazionale del popolo, il più importante evento politico annuale in Cina. Al suo interno però la discussione è del tutto fittizia: non si fa che avvallare formalmente quanto già deciso in sede di Comitato centrale del Partito Comunista, il vero organo che governa la Cina. Ma anche quel Comitato centrale (politburo) conta meno da quando il presidente Xi Jinping ha concentrato su di sé tutto il potere, come avevano fatto nel passato solo Mao Zedong e Deng Xiaoping. È dunque di una decisione di Xi ciò di cui stiamo parlando.

È stata presentata una proposta di legge che fa venire i brividi alla schiena di quelli che amano Hong Kong, i suoi giovani e la sua gente, la libertà e la democrazia. La nuova legge introduce, d’imperio, norme per la sicurezza nazionale a Hong Kong. Essa sarà inserita come un nuovo “terzo allegato” alla Legge-Base (Basic Law), la mini-costituzione che governa “l’alto grado di autonomia” della città.

La legge, che consiste in sette articoli, prevede disposizioni che puniscono reati come tradimento, secessione, sedizione, sovversione e l’interferenza straniera. Non è difficile immaginare come le provvisioni saranno convenientemente utilizzate per sopprimere la protesta popolare iniziata lo scorso 9 giugno 2019 e ogni altra forma di opposizione. Con leggi così in Cina si condanna ogni forma di dissenso, fino alla pena di morte.

Particolarmente inquietante ci sembra l’articolo quarto: “Se necessario, il governo centrale stabilirà a Hong Kong organismi con il compito di implementare la salvaguardia della sicurezza nazionale”. Questa disposizione porterebbe allo svuotamento del potere del parlamento e del governo locale, a favore di un ufficio, tutto politico, che non si è mai visto a Hong Kong. Il drastico ridimensionamento del Parlamento è particolarmente temibile perché nelle elezioni del prossimo settembre i partiti di opposizione avranno, secondo ogni previsione, la meglio, come successe per le elezioni distrettuali dello scorso novembre.

Sarà la fine di “un Paese – due sistemi” e dell’“alto grado autonomia”, i due principi che governano oggi Hong Kong. Ne avremo importanti banchi prova nelle prossime settimane: la veglia per la strage di Piazza Tiananmen il 4 giugno; il primo anniversario dell’inizio delle manifestazioni di protesta il 9 giugno; la tradizionale marcia di protesta del 1 luglio. Si potranno fare? E come?

Nell’estate 2003, come molti certamente ricordano, si tentò di introdurre una legge per la sicurezza nazionale. E avvenne all’indomani dell’epidemia della SARS. Ma il capo esecutivo di allora, il filo cinese Tung Chee-hwa, ebbe la ragionevolezza di ritirare la legge dopo una sola manifestazione di massa, il 1 luglio di quell’anno fatidico. Vari ministri si dimisero, e lo stesso Tung pagò il prezzo politico con la sua uscita di scena. Una scelta che restituì una qualche dignità all’uomo. E Hong Kong, per molti anni ancora, fu salva.

Il governo di oggi, guidato da Carrie Lam, ha avuto decine, centinaia di manifestazioni contro, e più immense di quella del 1 luglio 2003. C’è stata una nuova pandemia, e dunque, come in uno sventurato ricorso storico, si tenta di nuovo di introdurre la legge liberticida. Una legge che non solo impedirà ad Hong Kong di avere quello che le era stato promesso, ovvero una progressiva e piena democratizzazione; ma toglierebbe anche quello che già ha ora. Lam si è precipitata ad affermare che il governo di Hong Kong “collaborerà pienamente” all’implementazione di questa legge. Il ministro dell’istruzione afferma che gli studenti dovranno studiarla per bene. C’è da rabbrividire! Carrie Lam, lo scrivo con dolore, passerà alla storia di Hong Kong come la figura politica che abbia in assoluto fatto più danno.

Nei giorni scorsi è morto Allan Lee, un politico di lungo corso, proveniente dal mondo imprenditoriale, fondatore del Partito liberale e appartenente al campo filocinese (da ragazzo era stato comunista). Internazionalmente era forse poco noto, ma a Hong Kong era un volto familiare. Io lo ricordo bene. Aveva a cuore il bene di Hong Kong: dopo la manifestazione del primo luglio 2003, si impegnò a convincere Pechino a desistere dall’implementazione della legge per la sicurezza nazionale. Ebbe coraggio. Fu ascoltato. E Allan Lee passò i suoi ultimi anni, da uomo di destra e moderato quale ormai era diventato, a chiedere la piena democrazia e libertà per Hong Kong. Oggi il campo filo-governativo manca di uomini della tempra di Allan Lee. Sono al potere solo personaggi senza dignità politica, senza coraggio, opportunisti asserviti al potere del più forte. Non è vero che la democrazia a Hong Kong è voluta solo da “giovani sconsiderati” e da “oppositori senza senso di responsabilità.” La democrazia e la libertà di Hong Kong sono una cosa seria, voluta dalla gente migliore della nostra amatissima città.

Come ho avuto modo di scrivere nel passato, le cose non sono difficili da capire: sono come sembrano. Le minacce di un regime nemico della libertà, della democrazia e dei diritti umani non sono destinate a colpire a vuoto. Finché ci sarà possibile noi lo diremo: si sta preparando la fine di Hong Kong.

 

Foto: Flickr / Beverly Yuen Thompson