In India i nazionalisti del Bjp puntano il dito contro i musulmani per l’animale ucciso da un ananas imbottito di mortaretti in Kerala le cui immagini hanno fatto il giro del mondo. Gli stessi musulmani che additano come untori del “Corona-Jihad” per l’epidemia di Covid-19 che dilaga nel Paese
La morte di una elefantessa di 15 anni, gravida, il 27 maggio nello stato meridionale indiano del Kerala ha sollevato indignazione non solo nel Paese ma nel mondo. A provocare la reazione, le circostanze della morte, dovuta all’esplosione di mortaretti inseriti in un ananas di cui si era nutrita. L’arresto successivo di almeno una persona e la possibilità di un procedimento legale verso i responsabili non hanno al momento placato lo sdegno per quello che viene visto come un atto criminale, espressione di una crudeltà insensata.
Per alcuni però, in India, si tratterebbe anche di un’aggressione verso uno degli animali-simbolo dell’induismo e quindi di una sfida alla comunità indù e alla sua sensibilità. Maneka Gandhi, ex ministro per l’Ambiente e tra gli esponenti di punta del nazionalista e filo-induista Bharatiya Janata Party (Bjp), al potere a livello centrale e in molti degli stati dell’India, ha parlato di un’area, quella di Mallapuram, “nota per l’intensa attività criminale, soprattutto rivolta agli animali”. Incidentalmente, però,il distretto dove è successo il fatto è quello limitrofo di Palakkal, non quello di Mallapuram. Dietro questo errore non pochi vedono una volontà persecutoria verso i musulmani, maggioritari nel distretto indicato, e un’ulteriore prova della volontà discriminatoria che cerca motivazioni e seguaci.
Si tratta dello stesso atteggiamento che in una fase iniziale della pandemia da Covid-19 ha accusato organizzazioni islamiche come untori del coronavirus, di perseguire un “corona jihad”. Maneka, la più attiva tra gli esponenti della dinastia Gandhi che hanno trovato accoglienza nei movimenti nazionalisti abbandonando il Partito del Congresso che ancora oggi ha nei Gandhi la sua leadership, ha criticato il Kerala per gli abusi sugli elefanti che i critici ritengono anche collegati al loro utilizzo nelle cerimonie religiose e non solo in attività pesanti o rischiose o la loro uccisione per privarli del prezioso avorio. Lo stesso varrebbe, comunque, per i limitrofo stato di Karnataka, governato dal Bjp. Il ministro per l’Ambiente in carica, Prakash Javadekar, ha parlato di “un atto contro la cultura indiana”, riferendolo anch’egli al distretto di Malappuram.
Molti vedono nelle posizioni ufficiali il tentativo di screditare ulteriormente minoranze già sotto pressione da tempo, ma anche una certa ipocrisia che si estende alla tutela degli animali che ha spinto Ram Puniyani, attivista per i diritti umani e per la lotta alla discriminazione a chiedersi: “Dov’è la nostra compassione? È riservata solo agli elefanti del Kerala?”. Puniyani parla di “ovvia ipocrisia del partito di governo, che da un lato propone un’agenda che ha al centro la difesa delle mucche ma dall’altro tollera una “gestione disastrosa” delle stalle negli stati dell’India in cui governa. “In un tempo in cui si moltiplicano i linciaggi nel nome della difesa delle mucche, il Paese resta uno dei maggiori esportatori mondiali di carne bovina e molti degli esportatori non sono musulmani”, ricorda l’attivista.