Il vescovo di El Alto – scomparso mercoledì a causa del Covid – nel ricordo degli altri missionari bergamaschi, da anni impegnati in Bolivia. Coter: “Una grave perdita per tutto il Paese”
Sapeva stare davanti al presidente del Paese come seduto fra i poveri per strada. Voce autorevole e rispettata nel dialogo tra la Chiesa e il governo locale, monsignor Eugenio Scarpellini, morto a El Alto, la sede del suo episcopato, mercoledì scorso dopo essere risultato positivo al Covid-19. Aveva 66 anni, la metà dei quali passati in missione in Bolivia.
«Lunedì ci eravamo sentiti: gli avevo espresso vicinanza per la quarantena che certamente gli costava – testimonia monsignor Eugenio Coter, bergamasco, vescovo prelato di Pando -. Io stesso sono stato colpito da una polmonite da Covid, ma ora sto meglio. Monsignor Scarpellini era un uomo vulcanico, pieno di vita, capace di pazienza e di dialogo e allo stesso tempo di decisioni operative, pastorali, organizzative. La sua morte è una grave perdita per tutto il Paese».
Classe ’54, originario di Verdellino (Bergamo), monsignor Scarpellini viene ordinato sacerdote nel 1978. Successivamente ricopre il ruolo di vicario parrocchiale a Boltiere (1978-82) e Nembro (1982- 87), prima di partire per la Bolivia. Nell’arcidiocesi di La Paz è stato parroco di Villa Copacabana, economo del seminario e dell’arcidiocesi, direttore di un collegio, presidente di una Fondazione per bambini neurolesi, direttore nazionale e continentale delle Pontificie Opere missionarie e segretario generale aggiunto della Conferenza episcopale boliviana.
«Oltre che compagni di messa eravamo grandi amici – racconta don Santino Nicoli, parroco di Calusco d’Adda (non lontano dalla sede del Pime di Sotto il Monte) – . A La Paz ci occupavamo di due parrocchie adiacenti. Lo ricordo come un uomo intelligente, estremamente capace. La sua fede era pragmatica, d’azione. Da vero bergamasco era un lavoratore instancabile».
Il 15 luglio 2010 era stato nominato vescovo ausiliare di El Alto, diocesi di un milione di abitanti, fondata nel 1994. «Quando le voci della nomina episcopale si rincorrevano gli dissi: “Se vengo a sapere da altri che diventi vescovo non ti parlo più” – ricorda don Giambattista Boffi, parroco di Santa Lucia (Bergamo), già direttore del Centro missionario diocesano -. Sapeva già tutto, ma non poteva parlare. Restammo d’accordo che mi avrebbe chiamato e detto: “58”, ovvero la misura per la mitria. E avvenne proprio così. Una mattina presto ero in ufficio, suonò il telefono: in Bolivia era ancora notte. La sua voce mi disse: “58”. Il ministero di vescovo non fu per lui un premio o un onore, quanto il semplice e profondo servizio alla Chiesa e al popolo boliviano, che amava con tutto il cuore».
El Alto è la seconda città più popolosa del Paese, soprattutto a causa della costante immigrazione dalle campagne. La povertà è diffusa, tanto che gran parte della popolazione viene in condizioni precarie, senza acqua potabile. «Era molto amato laggiù – continua don Davide Rota, superiore del Patronato San Vincenzo di Bergamo, già missionario in Bolivia – Come un padre, ha guidato una diocesi giovane e molto difficile. Ha costruito strutture e promosso iniziative pastorali: la sua morte lascia un vuoto incolmabile».
Il 27 luglio 2013 monsignor Scarpellini è diventato vescovo di El Alto. In quell’occasione il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, gli aveva donato la croce pettorale di San Procolo, come da tradizione quando un bergamasco viene elevato all’episcopato. «Lo ricordo per la grande passione missionaria e vitalità: non si risparmiava in nulla – scrive monsignor Beschi in una lettera -. Ha dato anima e corpo per la Bolivia, terra dove hanno operato tanti missionari “Fidei donum” della nostra diocesi».
Negli ultimi anni la situazione politica del Paese si era aggravata, in seguito alle elezioni, inquinate da brogli, che avevano portato alla terza riconferma del presidente Evo Morales, poi riparato all’estero. «Monsignor Scarpellini era uno dei protagonisti della fase di riconciliazione – commenta don Massimo Rizzi, direttore del Centro missionario diocesano di Bergamo -. Ricordo la sua lettura sempre molto informata dei fatti, nonché il suo ruolo nel cercare di ricostruire relazioni tra i diversi fronti. Era una persona infaticabile, sempre al lavoro: non di rado i sacerdoti lo prendevano in giro per i racconti di migliaia di chilometri giornalieri compiuti per raggiungere le varie comunità, oltre che per il suo modo piuttosto spigliato di guidare. Tra l’altro si faceva anche il suo nome come possibile nuovo vescovo di La Paz».
«Era schietto e semplice – prosegue don Mario Marossi, punto di riferimento dei boliviani bergamaschi -: viveva in semplicità in un centro per disabili che avevo avviato là». «Quando ero a La Paz, noi missionari bergamaschi ci incontravamo tutte le domeniche sera per cenare insieme – conclude don Fabio Calvi, parroco a Cochabamba -. Erano lui e don Basilio, i veterani, a tenere il pallino della conversazione, in un clima di allegria e di fraternità, dando anche a noi novelli dei consigli importanti. Lo ricordo come un vero pastore: non ha mai abbandonato il suo gregge. Al punto di donare la sua stessa vita».