La promulgazione della legge sulla sicurezza nazionale ha inasprito le tensioni nella grande metropoli asiatica. E anche la Chiesa si interroga sul suo futuro. La testimonianza di padre Renzo Milanese
«Father, forse è meglio che oggi non esci». Sono molti i parrocchiani che lo scorso primo luglio hanno telefonato o messaggiato padre Renzo Milanese, missionario del Pime di 74 anni e che da 48 vive a Hong Kong. Il giorno era doppiamente cruciale: ricorreva il 23° anniversario dell’handover, il ritorno di Hong Kong alla Cina e – non per mera coincidenza – veniva promulgata la nuova legge sulla sicurezza nazionale. Quella che, secondo molti, ha messo fine alla cosiddetta “eccezione democratica” di Hong Kong, che si fonda su un alto grado di autonomia e sul principio di “un Paese-due sistemi”.
Il primo arresto, peraltro, ha riguardato un giovane che sventolava la bandiera di Hong Kong indipendente. Molti altri fermi si sono susseguiti in una giornata carica di tensioni, manifestazioni spontanee e non autorizzate, episodi di violenza e repressione. Che sono continuati anche nelle settimane successive e che potrebbero riproporsi dopo il contestato rinvio di un anno delle elezioni di settembre del Consiglio legislativo, l’assemblea parlamentare monocamerale della regione amministrativa speciale, che era programma per settembre e nelle quali il movimento democratico era nettamente favorito.
Il primo luglio, padre Renzo è rimasto effettivamente a casa, nella chiesa Madre del buon consiglio di cui è parroco. Ma non ha smesso di osservare e di partecipare, seppure a distanza, all’ennesimo sconvolgimento che ha travolto Hong Kong. Con uno sguardo alla storia recente dell’ex colonia britannica, di cui è stato partecipe in prima persona per quasi mezzo secolo. Ma soprattutto con un occhio preoccupato rivolto al futuro.
«La tensione è nell’aria – racconta – ma non da oggi. La si respira ormai da un paio d’anni ed è aumentata con l’inizio del movimento di protesta nel giugno 2019. I problemi si sono poi aggravati con l’epidemia di Coronavirus. E l’atmosfera generale si è appesantita. Anche se poi, tolte le manifestazioni, la vita continua apparentemente come sempre. Lo spirito della gente è incredibile. Così come la sua capacità di resistere, adattarsi e andare avanti».
C’è l’apparenza, però, e c’è la sostanza. L’apparenza è quella di una città laboriosa, efficiente e vivacissima, che neppure il Coronavirus è riuscito a fermare. «Gli abitanti di Hong Kong – conferma padre Renzo – hanno imparato la lezione della Sars del 2003. E anche nel caso del Covid-19 sono stati molto attenti e disciplinati. Di fatto, qui, non c’è mai stato un lockdown completo. Ma sono state prese varie misure che un po’ alla volta sono state allentate».
Tutte le attività, tuttavia, sono state perturbate, anche quelle della parrocchia. E non solo dal Covid-19. «A volte, le manifestazioni avvenivano nella nostra area – ricorda padre Milanese – e soprattutto in quella di una nostra cappella dove per circa un mese ci sono state proteste che hanno impedito specialmente le attività serali, quando era sconsigliabile uscire. A ciò si è aggiunto il Coronavirus. Da febbraio a fine maggio non è stato possibile celebrare le Messe e svolgere le normali attività parrocchiali. Ci siamo tenuti in contatto attraverso i social. Siamo però riusciti a organizzare, in accordo con la Caritas e con due scuole elementari, la distribuzione di buoni-spesa per le persone in difficoltà. Anche in una città ricca come Hong Kong ci sono molti poveri e moltissimi lavoratori precari che in questo periodo hanno perso il loro impiego. E i sussidi governativi sono arrivati solo tra luglio e agosto».
Ora, anche in parrocchia la vita è tornata gradualmente a una certa “normalità”. «Con pazienza e con prudenza – precisa il missionario – abbiamo lasciato a ciascun gruppo la libertà di decidere se tornare a incontrarsi di persona o se continuare a farlo attraverso le piattaforme social. I catecumeni hanno ripreso il cammino di formazione ed è stata fissata la data in cui riceveranno il Battesimo. Non la notte di Pasqua, come da tradizione, ma la Giornata missionaria mondiale, la terza domenica di ottobre, affinché possano associare questo passo importante della loro vita di fede con una circostanza che abbia anche un valore simbolico», dice padre Milanese, che negli anni Novanta è stato per due mandati superiore regionale dei missionari del Pime e ancora oggi è vice regionale.
Ma il suo impegno primario – come per gran parte della sua vita a Hong Kong – è in parrocchia. E questo continua a essere uno dei principali ambiti di presenza del Pime in questa megalopoli in continua ebollizione. Una storia travagliata che i missionari dell’Istituto – attualmente una trentina – condividono con la popolazione locale sin dal 1858.
A quel tempo, gli unici cattolici erano i pochi espatriati e i soldati irlandesi del contingente britannico. Poi, lentamente, ai tempi del vicariato prima e con la nascita della diocesi nel 1946 – con particolare impulso tra gli anni 1950-1970 al tempo di monsignor Lorenzo Bianchi, ultimo vescovo del Pime – un gran numero di missionarie e missionari, di varie provenienze e in parte espulsi dalla Cina, hanno investito i loro talenti e le loro energie in questo territorio che da «scoglio arido e inospitale» – come lo aveva definito il capitano Charles Elliot scrivendo alla regina Vittoria – è diventato una delle metropoli più moderne, ricche e iconiche del mondo.
Oggi i cattolici di Hong Kong sono circa 559 mila (su 7,5 milioni di abitanti) e la Chiesa locale, guidata dal cardinale John Tong, in veste di amministratore apostolico dopo la morte improvvisa del vescovo a inizio 2019, può ormai contare su numerosi sacerdoti locali, ma anche su moltissimi religiosi e religiose che, insieme ai missionari rimasti e a molti laici, animano una comunità impegnata sostanzialmente su tre grandi assi: quello pastorale con una sessantina di parrocchie e varie cappelle; quello educativo, con circa 300 scuole, dagli asili nido alle secondarie e professionali; e quello sociale, con l’imponente organizzazione presieduta dalla Caritas e numerose altre organizzazioni benefiche. Per tutti, anche per i cattolici di Hong Kong – dalla Commissione diocesana Giustizia e Pace, sempre in prima linea nel difendere diritti e libertà, al più diplomatico cardinale Tong; dal combattivo vescovo emerito, cardinale Joseph Zen, sino ai gruppi più manifestamente filo-Pechino – si tratta ora di attraversare una nuova fase storica, delicata e turbolenta, con tutte le inevitabili contraddizioni che temi e questioni così rilevanti suscitano.
«Non è facile discutere di quello che sta accadendo – ammette padre Milanese -. Si sono create forti polarizzazioni: c’è chi è favorevole al governo di Pechino e ritiene che la legge sulla sicurezza nazionale sia utile per far fronte alla confusione dilagante; e chi è fermamente contrario perché la ritiene ingiusta e liberticida. Tuttavia questo succede già da tempo, in particolare dalla cosiddetta “rivoluzione degli ombrelli” del 2014 e poi con le violenze scoppiate negli ultimi anni. La società di Hong Kong è attraversata da divisioni che ora rischiano di diventare insanabili».
Padre Renzo racconta di famiglie che in questi anni si sono disgregate a causa delle divergenze “politiche” che le hanno attraversate. Ma anche di una certa riluttanza ad affrontare temi decisivi e urgenti per la vita di tutti. Il non parlarne, però, non scioglie i nodi, anzi rischia di esacerbare gli animi dei più estremisti o di aumentare la rabbia dei più insoddisfatti. Ma anche di mettere del tutto a tacere i più prudenti. Molti temono che la nuova legge porterà a forme di autocensura o di grande circospezione rispetto a tutto ciò che si dice e che si fa. Creando anche un clima di paura e sospetto molto poco salutare per la società civile.
Del resto, l’ondata di arresti e le violente repressioni che hanno accompagnato tutte le manifestazioni di piazza dopo la promulgazione della nuova legge – che prevede pene durissime per i reati di secessione, sovversione, terrorismo e collaborazione con forze straniere che mettono in pericolo la sicurezza nazionale – non lasciano sperare in un’interpretazione tollerante delle norme. Subito dopo il primo luglio, migliaia di persone sono state fermate e più di 2 mila sarebbero “scomparse”, secondo oppositori e militanti per i diritti umani, che denunciano inoltre circa 370 suicidi “sospetti” (tra i moltissimi che avvengono ogni anno a Hong Kong), cosa peraltro smentita dalla polizia. Già prima dell’entrata in vigore della nuova legge, 15 leader storici dei movimenti di Hong Kong erano stati arrestati. Il clima, insomma, era già cambiato. Anche se ora si aprono nuovi inquietanti interrogativi.
«Secondo molti, l’ambiguità del testo lascia molto spazio alle interpretazioni e all’arbitrio – dice padre Renzo -. Anche per questo, pure noi, come missionari del Pime a Hong Kong, chiederemo a un giurista di spiegarcene meglio i contenuti e le implicazioni. La legge, del resto, si applica a tutti i cittadini di Hong Kong e ai residenti permanenti. E può riguardare anche chi vive all’estero e rischia l’arresto in caso di rientro».
Quello dell’emigrazione è un altro tema che si è posto in maniera forte in questi ultimi tempi. «Una preoccupazione tangibile – conferma lo stesso padre Renzo – soprattutto nelle famiglie che hanno bambini piccoli e che ora sono particolarmente in ansia per il loro futuro». Qualcuno se n’è già andato. Altri ci stanno pensando. La Gran Bretagna ha aperto le porte ai cosiddetti British Overseas Citizens – britannici delle ex colonie – che a Hong Kong sono quasi tre milioni. Ma chi non ha questa opportunità sta guardando all’Australia o a Taiwan. Alcuni leader della protesta sono già partiti. La fiducia e la speranza per il futuro, che erano già crollate negli ultimi anni, stanno ulteriormente precipitando. Padre Renzo, che dialoga molto con i suoi parrocchiani, si interroga in particolare sul futuro della Chiesa. Secondo il cardinale Tong, la libertà religiosa e quella di parola – e dunque di intervento sui temi sociali – sono garantite dalla Basic Law e non dovrebbero essere messe in discussione dalla nuova legge sulla sicurezza. Così come le relazioni con la Santa Sede. «La Chiesa cattolica di Hong Kong – ha detto il cardinale in un’intervista al settimanale diocesano – ha sempre avuto un rapporto diretto con il Vaticano; tale rapporto dovrebbe essere considerato come una questione interna alla Chiesa e non come una “collusione con forze straniere”».
Il condizionale, però, è d’obbligo. Di una cosa, tuttavia, è certo il vescovo ausiliare della megalopoli, monsignor Joseph Ha Chishing: «La violenza creerà solo più violenza. L’odio produrrà solo più odio. L’ingiustizia non raggiungerà mai la giustizia. La storia dimostra che solo la ragione può stabilire una pace duratura».