Un film del regista Dror Zahavi, da oggi nelle sale, racconta la storia di un’orchestra mista di giovani musicisti israeliani e palestinesi che impara a convivere e a collaborare. Perché nessuna barriera è veramente insormontabile
Imparare ad ascoltare e a comprendere le ragioni dell’altro, mettersi nei suoi panni per capire cosa prova: è il primo passo da fare per sconfiggere l’odio. Sembra una banalità, ma troppo spesso nei conflitti è proprio ciò che non avviene. Le ragioni dell’astio nei decenni si sedimentano e finiscono per diventare insormontabili. È quanto ci racconta il regista israeliano Dror Zahavi nel suo film intitolato Crescendo, da giovedì 27 agosto nei cinema. Con un messaggio positivo: l’odio si può superare. Basta volerlo e mettersi in gioco in prima persona.
Nel 1999, il direttore d’orchestra Daniel Barenboim e lo scrittore Edward Said hanno fondato la West Eastern Divan Orchestra, in cui suonano insieme musicisti provenienti da Israele, Giordania, Egitto, Palestina, Libano. A questa esperienza Zahavi si è ispirato per narrare una storia di pura invenzione. Nel film, un direttore d’orchestra tedesco in pensione, Eduard Sporck, viene coinvolto da una fondazione tedesca in un progetto benefico per favorire il dialogo fra israeliani e palestinesi. Per celebrare un negoziato di pace che si tiene in Alto Adige, si vuole creare un’orchestra di giovani musicisti provenienti da entrambi i Paesi, con lo scopo di tenere un unico concerto. A Sporck viene affidato il compito di selezionare i ragazzi recandosi a Tel Aviv. Già dall’inizio, l’impresa non si rivela facile. La violinista Layla e il clarinettista Omar, palestinesi, incontrano mille ostacoli solo per oltrepassare il checkpoint con la Cisgiordania e raggiungere l’auditorium. Più facile, invece, è il percorso per i ragazzi ebrei: per loro, gli studi musicali sono meno problematici e apparentemente sono più preparati. Ma Sporck è deciso ad avere un gruppo equamente ripartito a metà. Ed è disposto a chiudere un occhio se i palestinesi, entusiasti e volenterosi, hanno meno esperienza.
Ultimata la selezione, i ragazzi volano in Italia, a Vipiteno, dove incomincia il loro training per il concerto. La musica supera ogni confine e crea ponti fra i popoli. Siamo abituati a pensare così, ed è per lo più vero. I ragazzi del gruppo, tuttavia, malgrado la giovane età portano sulle spalle decenni di pregiudizi, di odi atavici, di luoghi comuni ereditati dai genitori, dai nonni, dai bisnonni. Non è possibile creare una squadra affiatata, che suoni Vivaldi trasmettendo un’emozione al pubblico, se prima non si superano le barriere che dividono i musicisti. Sporck alterna le prove musicali a sedute di terapia di gruppo. C’è chi racconta del bisnonno palestinese che porta ancora in tasca le chiavi della sua casa occupata dagli israeliani e non riesce a morire senza rivederla. E c’è chi rievoca la nonna ebrea sopravvissuta al campo di concentramento con il numero tatuato sul braccio, che ha rischiato di morire per mano araba.
Poco alla volta, le rivalità si stemperano. I due primi violinisti rivali, l’ebreo Ron e la palestinese Layla, iniziano a collaborare. C’è anche chi va oltre: fra Omar e Shira sboccia una storia d’amore. Perché quando ci si conosce e l’odio cede il passo, si scopre di condividere molto di più di quanto si creda con il nemico.
A infondere la speranza ai ragazzi è Sporck. Nulla è più convincente della testimonianza di qualcuno che ha vissuto un dramma come il tuo sulla sua pelle. Il grande maestro svela di essere figlio di nazisti, di aver portato questo peso per tutta la vita e di essere riuscito, con grande fatica, a mettere piede in Israele per seguire il progetto. «Potete farcela anche voi, se iniziate», dice loro. «Non i vostri figli, non i vostri nipoti, ma voi, adesso».
La storia prosegue con un finale che non sveleremo. Ma ciò che conta è la scoperta, da parte dei musicisti, che si può costruire qualcosa insieme quando si smette di insultarsi vicendevolmente dandosi dell’assassino o del terrorista. È quanto è accaduto anche agli attori che hanno partecipato al film. Molti di loro sono israeliani o palestinesi, come i personaggi che incarnano, ed erano portatori di pregiudizi simili a quelli che il film racconta. «Hanno trovato il modo di andare d’accordo molto facilmente», ha dichiarato Dror Zahavi. «Non direi che sono diventati amici, ma credo che tutti abbiano portato via con sé un messaggio importante: il fatto che palestinesi ed ebrei, per qualcosa come sette o otto settimane, hanno vissuto insieme». Il film ha vinto il premio onorario Cinema per la Pace 2020.