In Perù gli ospedali alle prese col Coronavirus devono fare i conti coi prezzi alle stelle delle bombole d’ossigeno, favoriti da un monopolio nella produzione. Così l’arcidiocesi guidata dal cardinale Pedro Barreto ha acquistato e sta mettendo in opera due macchinari per il rifornimento di due ospedali grazie alla campagna «Voglio vivere, mi manca l’ossigeno»
Il Perù – come spiegavamo in questo articolo – è uno dei Paesi dove il Coronavirus sta colpendo più duramente. Negli ultimi giorni ha addirittura raggiunto un triste record: con 92 vittime ogni 100.000 abitanti è ormai il Paese con più morti da Coronavirus in rapporto alla popolazione. Più di Belgio (87), Spagna (63), Gran Bretagna (62), Brasile (60), Italia (59), Stati Uniti (57). L’unico Stato che oggi supera il Perù nel numero di vittime da Covid-19 in rapporto agli abitanti è San Marino (124 morti ogni 100.000 abitanti); ma è evidente che per popolazione e superficie non sono due realtà tra loro paragonabili.
Viene dunque da chiedersi: perché in Perù si muore così tanto per l’infezione da Coronavirus? Una delle cause è certamente la scarsa disponibilità di rifornimenti di ossigeno per gli ospedali. Abbiamo imparato, infatti, quanto i respiratori siano un ausilio essenziale per il sostegno dei pazienti affetti dalle polmoniti da Covid-19. Solo che in Perù c’è un problema molto serio: non c’è più ossigeno nemmeno peroper gli ospedali. E la cosa più grave è che manca per una precisa scelta: nell’ultimo decennio la politica locale ha smaccatamente favorito un oligopolio nella produzione dell’ossigeno ad uso medico che alla prova dei fatti si è rivelato incapace di affrontare l’emergenza. Nel 2010 infatti una legge peruviana ha imposto standard nella produzione delle bombole che hanno messo fuori gioco i piccoli produttori locali. Il risultato è che l’80 per cento degli ospedali vengono riforniti dal colosso nato dalla fusione tra il gruppo americano Praxair e la multinazionale tedesca Linde, con il resto del mercato nelle mani dell’unico concorrente, l’americana Airproducts. L’oligopolio era talmente smaccato che nel 2013 l’antitrust peruviana aveva multato i due gruppi per aver fatto cartello sui prezzi.
Con l’arrivo della pandemia il problema si è fatto drammatico: con il governo peruviano dimostratosi incapace di prendere in mano la situazione, il mercato delle bombole d’ossigeno è andato alle stelle. Tra le situazioni più gravi c’è quella dell’arcidiocesi di Huancayo, il capoluogo della regione di Junín, ai piedi delle Ande, con due ospedali pubblici in gravissima difficoltà. Ed è proprio qui che è nata una risposta dalla società civile, attivamente sostenuta dall’arcivescovo, il cardinale gesuita Pedro Barreto Jimeno, pastore molto attento alle questioni sociali che è stato tra i protagonisti del cammino del Sinodo per l’Amazzonia.
Il cardinale Barreto – insieme alla Mesa Interinstitucional de Reflexión y Acción por la Paz (Mirapaz) – ha infatti lanciato una campagna intitolata Quireo vivir! Me falta oxigeno («Voglio vivere! Mi manca l’ossigeno») per l’acquisto di due impianti per la produzione autonoma di ossigeno per gli ospedali Domingo Olabegoya di Jauja e Daniel Alcides Carrión di Huancayo. I macchinari sono già arrivati in Perù due settimane fa e – con l’aiuto degli ingegneri dell’Università Cattolica di Lima – stanno per entrare in funzione proprio in queste ore. In un solo mese la campagna ha già raccolto oltre un milione e mezzo di sol (più di 350 mila euro), una cifra ormai vicina alla spesa necessaria. Per questo il cardinale Barreto ha lanciato anche una nuova iniziativa intitolata Chupaca rexpira per fornire anche a un’altra provincia del Junín un macchinario per la produzione di bombole d’ossigeno a uso medico.