Fondate cent’anni fa da padre Isaia Bellavite, le Suore missionarie di San Giuseppe sono rinate in Cina dopo la persecuzione. E oggi sono al servizio della diocesi di Anyang, tra fede e impegno sociale
Nella storia e nella cronaca sulla Cina ci sono le grandi vicende politiche, intorno a cui si accendono i riflettori del mondo. Ma sottotraccia vi sono anche i piccoli miracoli. Quelli che nel silenzio e andando oltre mille difficoltà tengono aperti ponti di speranza anche nelle situazioni più difficili. Ed è quanto testimonia a un altro anniversario che si celebra in questo stesso 2020. Proprio nell’Henan – la regione affidata 150 anni fa da Propaganda Fide a monsignor Simeone Volonteri e ai suoi primi compagni giunti da Milano nella Cina continentale – ricorre infatti il centenario delle Suore Missionarie di San Giuseppe, un ordine di religiose cinesi fondate da padre Isaia Bellavite, anche lui missionario del Pime. Una congregazione che – nonostante le sofferenze vissute dai cristiani in Cina nel Novecento – nella diocesi di Anyang non solo esiste ancora, ma ha conosciuto una straordinaria vitalità. Di questa storia sorprendente è testimone Vittorio Bellavite – milanese, anima del movimento “Noi siamo Chiesa” – che del fondatore di quell’ordine di suore è il pronipote e in questi anni con la sua famiglia ha tenuto viva l’amicizia con le religiose dell’Henan.
Come spesso accade, alla radice di tutto c’è la carità: nel 1918 l’Henan viene sferzato dall’ennesima alluvione del Fiume Giallo, che lascia dietro di sé tanta devastazione. Padre Isaia, che ha 46 anni ed è in Cina ormai già da venti, si prodiga per prendersi cura delle vittime, tra cui ci sono tanti bambini e ragazze. In quell’opera si rivela preziosissimo un gruppo di giovani donne cristiane cinesi, che collaborano con lui. Ed è lì che padre Isaia ha l’intuizione: in un contesto dove le barriere culturali sono pesanti, quanto prezioso potrebbe essere per l’evangelizzazione un ordine locale di suore, formato solo da ragazze cinesi? «Lui, uomo per molti versi così legato alla tradizione – commenta Vittorio Bellavite – aveva capito l’importanza dell’inculturazione della fede». Nel 1920 padre Isaia riunisce in parrocchia 12 ragazze che iniziano così il loro noviziato, affidato – appunto – alla protezione di san Giuseppe. Due anni dopo cinque di loro avrebbero emesso i primi voti solenni. Alla morte di padre Bellavite, nel 1934, le “Giuseppine” sono ancora 27; ma quindici anni dopo – prima dell’arrivo dell’Armata Rossa ad Anyang – erano già diventate 70. «A quel punto però iniziano gli anni più duri – continua Bellavite -, seguiti dalla Rivoluzione culturale. Le suore vengono disperse, ciascuna è costretta a tornare alla propria famiglia e lì rimane per decenni. Quando però all’inizio degli anni Ottanta cominciano a riaprirsi alcuni spazi per i cristiani in Cina, queste donne divenute ormai anziane decidono di ricominciare la propria vita di comunità. E numerose giovani si uniscono a loro».
«Oggi nella nostra congregazione siamo 127 suore – ci scrive dalla Cina suor Angelina Qin, segretaria delle Suore Missionarie di San Giuseppe – di cui 121 hanno emesso i voti perpetui e altre 6 quelli temporanei. Oltre che nella Casa madre, dove risiedono una ventina di suore, le altre svolgono il loro ministero in quattro diverse comunità, tutte nella diocesi di Anyang». L’anno scorso una loro rappresentanza ha preso parte all’incontro delle famiglie religiose fondate o ispirate dal Pime che si è svolto ad Hyderabad in India. «Il nostro carisma – hanno scritto in una scheda preparata per quell’appuntamento – è essere servitrici fedeli di Gesù: come san Giuseppe vogliamo con gioia prenderci cura di Lui attraverso le vie e i mezzi della carità nella Chiesa e nella società».
«Tre sono i principali ambiti del nostro apostolato – aggiunge suor Qin -. Il primo è il ministero pastorale nelle parrocchie incentrato sul catechismo, la cura per i bambini e gli anziani, l’accompagnamento spirituale dei fedeli e delle coppie. Un secondo ambito sono i programmi di formazione alla fede per i giovani, con un’attenzione particolare agli studenti. E poi c’è l’ambito dei servizi sociali, come l’ospedale e i controlli medici gratuiti per le persone bisognose».
Quest’attenzione alla salute fisica fa parte della storia delle Suore Missionarie di San Giuseppe: già negli anni Trenta le suore avevano un ambulatorio oftalmico, servizio molto prezioso per la popolazione dell’Henan. E continuano a portarlo avanti ancora oggi, insieme a un piccolo ospedale intitolato a Santa Teresa.
Ma chi sono le giovani cinesi che si avvicinano oggi alla vita religiosa? «Per il noviziato accogliamo giovani che abbiano compiuto 18 anni, diplomate, libere di discernere la propria vocazione, nate in famiglie cristiane e battezzate – ci risponde suor Qin -. Ma il calo delle vocazioni è ormai un fenomeno globale, per cui in questo momento anche noi non abbiamo novizie. La buona notizia comunque è che ci sono ragazze che hanno mostrato interesse per la vita religiosa e accogliamo nella nostra casa. Dalla scorsa estate stanno sperimentando che cosa significhi vivere questa vocazione».
Vittorio Bellavite ha incontrato di persona le Suore Missionarie di San Giuseppe nel corso di tre viaggi che ha compiuto in Cina sulle orme di padre Isaia. «La prima volta siamo andati nel 1994 – racconta -. A quel tempo la situazione era ancora molto dura, la Messa veniva celebrata in una piccola cappella con i fedeli che arrivavano anche da lontano. Quando siamo tornati nel 2000, invece, abbiamo trovato la cattedrale ricostruita; il vescovo monsignor Tommaso Zhang, che aveva vissuto personalmente l’esperienza dei campi di lavoro, era riuscito a ottenere la restituzione di gran parte delle proprietà confiscate. Non a caso quando siamo stati lì l’ultima volta, nel 2015, ad Anyang c’era già il suo successore, l’attuale vescovo monsignor Giuseppe Zhang, uno dei vescovi su cui la Santa Sede e Pechino hanno trovato un’intesa. Mi ha colpito molto incontrare giovani di poco più di vent’anni che hanno scelto una forma di vita religiosa ancora molto legata all’impronta di inizio Novecento – commenta Bellavite -. Oggi sono un ordine legato alla diocesi, ma non hanno affatto dimenticato padre Isaia e il Pime».
Lo conferma anche il modo in cui le suore stanno vivendo questo centenario. «Abbiamo aperto le celebrazioni il 19 marzo 2019 e avremmo dovuto chiuderle il 19 marzo 2020, ma abbiamo dovuto rinviare la conclusione a causa del Covid-19 – racconta suor Qin-. Stiamo ancora discutendo su come celebrare al meglio la fine di questo anno. Durante tutto il 2019 abbiamo organizzato una serie di pellegrinaggi nella diocesi di Anyang per ricordare padre Isaia. Questo percorso, che abbiamo chiamato “Sulle orme di padre Bellavite e oltre”, ci ha visto sostare nei luoghi dove il nostro fondatore è vissuto e ha servito la gente, cercando di capire che cosa aveva fatto. Abbiamo ascoltato le persone di quei luoghi raccontarci che cosa è rimasto di lui, abbiamo raccolto vecchie fotografie sulla sua vita, meditato la sua storia e parlato di lui in comunità durante i nostri incontri. Ogni nostra suora – aggiunge la segretaria delle Suore Missionarie di San Giuseppe – ha sempre a portata di mano un libretto su padre Bellavite; a tutte è chiesto di familiarizzare con il nostro fondatore e di vivere con serietà la nostra vita religiosa come ha fatto lui».
Di qui il ringraziamento al Pime da questa comunità di suore cinesi. «Se oggi abbiamo la forza di andare avanti – scrivono – è grazie alla vostra preghiera che ci ha reso unite come una cosa sola». Ai missionari in Italia hanno affidato, però, anche una richiesta di aiuto particolare: hanno chiesto loro di rintracciare una copia delle Costituzioni e della Regola dell’Istituto che le suore inviarono in Vaticano nel 1947, ricevendo risposta nel 1949. Documenti andati persi in Cina durante la Rivoluzione culturale. Le Missionarie di San Giuseppe vorrebbero ripartire da questi testi per ridefinire la propria strada oggi. È la testimonianza di un seme che in Cina continua a germogliare. A gettarlo fu padre Isaia, ma poi lo hanno trapiantato un gruppo di donne cinesi dalla fede più forte di ogni tempesta. E oggi la Chiesa di Anyang ne raccoglie i frutti.
IL 3 OTTOBRE AL PIME IL CONVEGNO SULLA CINA
Sarà il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, a introdurre il convegno «Un’altra Cina» che il Centro missionario di Milano, il Seminario e lo Studio teologico di Monza, in collaborazione con Ucsi Lombardia, organizzano per sabato 3 ottobre a conclusione delle celebrazioni per i 150 anni del Pime in Cina. L’iniziativa vuole approfondire dinamiche e sfide del “gigante” asiatico anche alla luce dell’emergenza-Coronavirus. L’appuntamento è fissato per le ore 9 con ingresso da via Mosè Bianchi, 94, a Milano. Per via delle limitazioni imposte dal Covid-19 per partecipare in presenza è necessario prenotarsi a questo link ma sarà possibile seguire il convegno anche in streaming dal sito www.pimemilano.com. La prolusione del cardinale Parolin verterà sul tema “Il dialogo tra Santa Sede e Cina nel Pontificato di Papa Francesco”. Seguiranno le relazioni di Filippo Fasulo, direttore del Centro studi per l’impresa della Fondazione Italia-Cina, sullo scenario geopolitico; Lisa Jucca, editorialista di Reuters Breakingviews, che ha lavorato a Hong Kong, sulla politica economica; Lala Hu, docente di Marketing all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sui nuovi cinesi d’Italia e Gianni Criveller, missionario e sinologo, sulla presenza del Pime tra Cina e Hong Kong. Il convegno conclude la Campagna “Un’altra Cina” che in occasione dei 150 anni dall’arrivo dei primi missionari del Pime nella Cina continentale, sostiene un’iniziativa di solidarietà a favore degli amici con disabilità del Centro Huiling, grazie al Progetto S139 avviCINAbili senza barriere.