Nell’Estremo Nord del Camerun, segnato da povertà e violenze, padre Luca Dal Bo ha messo le basi di una nuova parrocchia, dedicandosi alla prima evangelizzazione e al confronto tra fedi
Una parrocchia, cinque settori, venti comunità rurali, trecento battezzati. La presenza del Pime a Maroua e dintorni, nella regione dell’Estremo Nord del Camerun, è un continuo ricominciare da piccoli passi, piccole strutture, piccoli numeri. Del resto, è sempre stato questo lo stile di una presenza di prima evangelizzazione che dura ormai da circa 45 anni, ma che sempre si rinnova.
Lo sa bene padre Luca Dal Bo, 45 anni di Preganziol (TV), che negli ultimi tre anni è stato responsabile della parrocchia della Santa Famiglia di Meskine, un villaggio alla periferia del capoluogo Maroua. Legata originariamente alla parrocchia di Saint Jean del centro città – portata avanti per molti anni dai missionari del Pime – quella di Meskine è stata costituita quasi sei anni fa. Dopo la breve presenza di un parroco locale, è stata presa in carico da padre Giuseppe Parietti che vi è rimasto per due anni e quindi da padre Luca che, a sua volta, ha passato il testimone a un altro missionario del Pime, Alberto Sambusiti.
«È stata un’esperienza intensa e interessante», ammette padre Luca, che in questi anni ha dovuto letteralmente mettere in piedi la nuova parrocchia, dove non c’era praticamente nulla. E così ha portato a termine la costruzione della chiesa, della scuola, della grotta mariana, ma anche di alcune cappelle e pozzi nei villaggi della savana circostante. «All’inizio – racconta padre Luca – si celebrava la Messa sotto un grande albero. Era tutto molto spontaneo e provvisorio». Adesso l’edificio della chiesa è quasi finito. E anche la scuola primaria bilingue (francese e inglese) è stata completata, sia in termini di aule che di classi, grazie anche agli aiuti raccolti attraverso la Fondazione Pime di Milano. «Ora abbiamo passato la gestione della scuola alla diocesi – dice il missionario -. E anche questo è un bel passo avanti».
Avere un luogo di culto, ma anche avere un luogo di studio, sono sempre state tra le priorità del Pime in questa regione che è una delle più povere e arretrate del Camerun. Anche perché abbandonate dal governo centrale che ha sede a molti chilometri di distanza più a Sud. E – oltrettutto – questa regione molto arida e poco produttiva, incuneata tra Nigeria e Ciad, è stata interessata in questi ultimi anni anche dalle incursioni dei terroristi di Boko Haram e dagli assalti di criminali e banditi, che hanno provocato molti morti e migliaia di sfollati, aggravando la situazione di miseria e precarietà della gente. «Come se ciò non bastasse – aggiunge padre Luca – la presenza dei militari non sempre aiuta a migliorare i problemi di sicurezza e, per contro, crea molti problemi sociali».
In questa regione la maggior parte della popolazione è musulmana o segue le religioni tradizionali; il cristianesimo resta molto minoritario, ma anche molto frastagliato. «Paradossalmente – ammette padre Luca – a volte è più facile dialogare con i musulmani che con certi gruppi pentecostali. Noi, però, nel nostro piccolo, cerchiamo di portare avanti il dialogo con tutti».
È questo, infatti, un tema che sta molto a cuore a padre Luca, che ha frequentato un corso di teologia islamica a Parigi presso un Istituto dei Fratelli musulmani, affrontando dunque questa questione tanto delicata e cruciale a partire dal punto di vista dell’altro, per poi approfondirla presso l’Institut Catholique. Sono materie che ha insegnato anche nel seminario interdiocesano del Nord del Camerun, ma che soprattutto, in questi anni vissuti a Maroua, ha messo alla prova dei fatti.
«Quando sono arrivato qui – porta ad esempio – andavo in un piccolo villaggio di poco più di 400 abitanti; i pochissimi cristiani presenti non potevano neppure pregare perché i musulmani tiravano loro delle pietre. Allora ho incontrato l’imam. Ci siamo conosciuti e ci siamo parlati. Era la prima volta che succedeva. Questo ha permesso di superare paure e diffidenze reciproche. Al punto che abbiamo potuto cominciare anche a celebrare la Messa ogni quindici giorni. Questo ha incoraggiato la piccola comunità che è cresciuta molto: oggi i cristiani sono circa una trentina e vivono pacificamente con gli altri abitanti del villaggio. Spesso le tensioni sono dovute soprattutto all’ignoranza reciproca che crea pregiudizi e incomprensioni. Per questo è molto importante tessere buone relazioni personali e creare un clima di fraternità».