Cuscus, la tradizione che avvicina i popoli

Cuscus, la tradizione che avvicina i popoli

È stato un progetto che ha unito Algeria, Marocco, Tunisia e Mauritania a rendere possibile nelle scorse settimane il riconoscimento dell’alimento tipico del Nord Africa come patrimonio immateriale dall’Unesco. Ma anche in Italia è cresciuta la produzione e oggi siamo il primo esportatore europeo

 

A dicembre 2020, la lista dei beni riconosciuti come patrimonio culturale immateriale dall’Unesco si è arricchita di una nuova entrata. Si tratta del cuscus, il piatto più tipico del Maghreb e del Sahel – ormai conosciuto anche in Europa grazie alla presenza degli immigrati nordafricani – ha convinto gli esperti di essere non solo un cibo della tradizione, ma di incarnare una serie di valori legati alla vita sociale dei popoli che l’hanno creato.

Un detto diffuso in quest’area del mondo dice che “il migliore cuscus è quello di mia madre”. E questo la dice lunga sull’orgoglio, ma anche sulle gelosie incentrate sulla paternità di questo piatto. Da sempre, Algeria e Marocco – tra i quali non corre buon sangue per motivi politici – rivendicano a sé l’origine di questo cibo. A loro si aggiunge la Tunisia. Ma questa volta il cuscus è riuscito eccezionalmente a unire, anziché a dividere. Quando nel 2016 l’Algeria aveva deciso di muoversi per presentare la domanda all’Unesco, il Marocco si era subito inalberato. Tutto lasciava presagire che le divergenze fra i due Paesi avrebbero avuto come nuovo scenario la tavola. Invece, è accaduto un piccolo miracolo. Algeria e Marocco hanno trovato un’intesa, alla quale poi si sono aggiunti Tunisia e Mauritania, un Paese dove il cuscus è fortemente radicato nella cultura gastronomica e popolare. Insieme, i quattro Paesi africani hanno presentato nel marzo 2019 un dossier intitolato “Conoscenza, competenze e pratiche collegati alla produzione e al consumo del cuscus”. Il riconoscimento Unesco è quindi una vittoria di tutti e un premio alla cooperazione e alla capacità di stemperare le divergenze. Che l’ostilità e gli attriti passino anche per la cucina è un dato di fatto. Chi scrive ha assistito a infinite dispute, mai sopite, fra greci e turchi sulla primogenitura di alcuni piatti comuni, dalle melanzane “Imam bayldi” ai biscottini kourabiedes, in greco, e kurabiye, in turco.

Il cuscus, stavolta, ha fatto da ponte. I chicchi di questo alimento si ottengono dal frumento (o dal miglio) macinato grossolanamente. La semola così ricavata viene cosparsa di farina e lavorata a mano dalle donne, fino ad avere dei granelli, poi passati al setaccio. È un’attività che richiede tempo e pazienza. La cottura è rigorosamente a vapore con una cuscussiera, una pentola speciale dove nella parte inferiore cuciono verdure e carne, mentre da una serie di fori il vapore del brodo passa alla parte superiore dove è posto il cuscus. Questo cibo consente un’infinità di accostamenti che variano a seconda della tradizione. Si spazia dalle carni al pesce, dalle verdure alle uova sode. In Algeria esiste una versione dolce condita con burro, zucchero e uvetta. È proprio questa versatilità ad avergli consentito di essere declinato in modi diversi, legati ai singoli territori, ma nel contempo a fare da collante culturale di una vasta area.

Il cuscus è il piatto delle feste, dei ritrovi, delle celebrazioni e dei pellegrinaggi. Si trova nei matrimoni ma anche nei funerali. Pur essendo un alimento povero, rappresenta una prelibatezza che evoca in chi lo ha conosciuto fin da bambino ricordi e memorie di famiglia. È un piatto che si condivide, seduti per terra: la famiglia o gli amici lo consumano da un unico contenitore, prelevandolo con un cucchiaio o talora con le mani. Il precetto invita a usare tre dita della mano destra, perché per i musulmani con un dito mangia il diavolo, con due il profeta, mentre cinque dita indicano i golosi. Cibarsi insieme di cuscus è un atto che cancella i conflitti e le divergenze.

Se a inventare il cuscus sono stati, probabilmente, i pastori nomadi berberi – a cui serviva una fonte calorica facile da conservare e trasportare – i contatti fra popoli l’hanno portato anche sull’altra sponda del Mediterraneo. In Sicilia, a San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, il cuscus è cibo tradizionale da un paio di secoli, portato dai pescatori che avevano rapporti con la Tunisia. Dal 1998 si tiene un festival, il Cous Cous Fest, dedicato a questo alimento, all’insegna dell’integrazione culturale, che vede la partecipazione di vari Paesi in una gara culinaria.

Oggi le mani delle donne che creano i preziosi chicchi sono affiancate dalla produzione industriale, che propone un cuscus precotto, pronto in pochi minuti. La Francia, con la forte presenza di cittadini e immigrati di origine maghrebina, è il primo Paese in Europa per consumo e produzione di cuscus. L’Italia, invece, figura al secondo posto per produzione: esistono pastifici che si sono convertiti alla produzione del cuscus, o hanno scelto di inserirlo fra i loro prodotti. Così abbiamo conquistato un primato europeo: siamo i primi (dati 2019, IndexBox) nell’export, con 44mila tonnellate, seguiti dai francesi. Insomma, il cuscus è davvero un patrimonio condiviso.

 

Foto: Flikr / Marco Verch