Incarnare la Buona Novella per promuovere un vero cambiamento: la missione di padre Célo in Guinea Bissau tra molte fatiche e tante sfide
Pensava ci fosse almeno la lingua in comune. Invece, neppure quella. Dal Brasile alla Guinea Bissau, persino il portoghese si è rivelato un filo troppo sottile per unire due realtà tanto diverse. E così padre Anaucélison Aparecido Teodoro Moreira – per tutti padre Célo -, 39 anni, si è ritrovato a cominciare davvero tutto da zero. Compreso lo studio del criolo che non è la lingua ufficiale, ma è quella che tutti parlano in Guinea Bissau, dove il missionario brasiliano del Pime è arrivato a fine 2014. Sei anni intensi, di fatiche e spaesamento, ma anche di progressivo inserimento in una realtà che lo ha messo a dura prova, ma dove ora si sente pienamente realizzato.
«La povertà, ma anche l’arretratezza, la cultura e le tradizioni. La stessa missione. Tutto mi sfidava e mi metteva di fronte alle mie debolezze. Ho pensato davvero di non farcela!», riflette padre Célo che non si nasconde certo dietro l’immagine un po’ retorica del “missionario-eroe”. Tutt’altro! Del resto, per uno che neppure desiderava andare in Africa, ritrovarsi in un Paese come la Guinea Bissau, in una cittadina come São Domingos e in una missione nata da poco, non è stato per nulla facile. «Soffro di ansia – ammette – e quando sono arrivato qui ho pensato che questa realtà non facesse per me. Avevo immaginato di essere missionario in un contesto di città, magari in Asia, Thailandia o Cambogia. E invece mi sono ritrovato in un villaggione come São Domingos, dove tutto è precario: mancanza di servizi, di sistemi sanitari e di istruzione… Ancora oggi l’elettricità arriva solo poche ore al giorno. Noi possiamo contare su un generatore, ma quasi nessuno può permetterselo. I primi due anni sono stati davvero di grande sofferenza. Ho pensato che non sarei stato capace di adattarmi. Poi ho trovato alcune persone che mi hanno aiutato e un po’ alla volta mi sono inserito. Ora posso dire di trovarmi benissimo e di essere felice di stare qui. A volte forse è un po’ disperante per il tanto lavoro che ci sarebbe da fare, ma mi sento realizzato come missionario».
Padre Célo è coadiutore della parrocchia di Santa Bakhita a São Domingos, un paesone di circa seimila abitanti: si occupa della pastorale dei bambini e dei ragazzi, segue due villaggi dove celebra le Messe ed è responsabile della catechesi, di cui si occupa anche a livello di decanato e diocesano, mentre per il Pime segue i progetti. Poi ci sono la manutenzione della missione, gli animali da accudire, i mercatini… E, come sempre, gli inevitabili imprevisti, che in simili contesti sono all’ordine del giorno.
Padre Célo, però, guarda innanzitutto a se stesso. «L’eccesso di lavoro – riflette – a volte fa emergere il peggio di sé. E la mancanza di relazioni ci rende vulnerabili. Qui non è sempre facile incontrare un amico, andare dal direttore spirituale o dal confessore anche a causa delle distanze. Spesso mi sono ritrovato faccia a faccia con le mie debolezze, mi sono sentito impotente in tante situazioni, sembrava persino che il Signore mi avesse lasciato solo. Ma poi qualcuno si avvicinava per tendermi la mano o per mostrarmi la famosa luce che è lì in fondo al tunnel. E poi ho sempre saputo che Lui c’era, perché è ciò in cui confido e ciò che predico».
Attualmente, padre Célo vive con un altro missionario del Pime, padre Steven, birmano, arrivato poco prima di lui in Guinea Bissau e parroco di São Domingos. In parrocchia, ci sono anche alcune suore senegalesi, della congregazione francese delle Suore dell’Immacolata di Castres, che si occupano prevalentemente della scuola. «Ancora oggi – continua il missionario -, nonostante conosca meglio la cultura e le tradizioni, questa realtà continua a sfidarmi». Padre Célo rievoca, in particolare, un episodio recente: l’orribile uccisione di un meccanico che conosceva; uccisione che sarebbe stata “ordinata” dallo spirito di una persona deceduta. Un retaggio della tradizione con cui è difficile fare i conti». In un contesto in cui predominano miti, credenze e, soprattutto, paure, il lavoro per un cambiamento di mentalità e socio-culturale è molto arduo. Per noi missionari è ancora più faticoso, perché questo riguarda anche i cristiani che spesso faticano a lasciarsi toccare e trasformare con convinzione dal Vangelo». L’epidemia di Coronavirus non ha fatto che complicare le cose. Nonostante il virus sembri poco diffuso (per la giovanissima età media della popolazione, ma anche per la mancanza di dati), le misure di prevenzione e controllo hanno reso più difficili anche le attività pastorali, a cominciare dalla celebrazione delle Messe, che sono state sospese per diversi mesi.
«Questo periodo di “pausa” – racconta padre Célo – rallenta anche il lavoro di evangelizzazione. In una società in cui il Vangelo non ha ancora messo radici e si contrappone ad alcuni aspetti culturali ben radicati, questo tempo sospeso porta con sé anche il pericolo che alcuni fedeli si allontanino e a volte mette a rischio l’intero percorso fatto. L’opera di evangelizzazione qui in Guinea Bissau deve ancora radicarsi nel profondo del cuore e della vita della gente. Forse non solo qui – aggiunge – ma in tutto il mondo…». La pandemia, tuttavia, non ha reso più problematico solo il lavoro dei missionari. Ha innanzitutto peggiorato le condizioni di vita della popolazione locale. Le misure di lockdown, infatti, hanno rischiato di far morire la gente di fame prima ancora che di Covid-19. Il virus ha fatto emergere nuovi bisogni, specialmente in quelle fasce della popolazione che erano già molto povere e vulnerabili. «Con l’aiuto della Caritas diocesana e del Pime – racconta il missionario – nella nostra parrocchia abbiamo consegnato viveri a molte famiglie bisognose colpite economicamente dalla pandemia, compresi musulmani, animisti e protestanti. Siamo riusciti a distribuire più di due tonnellate di riso, 500 litri di olio e 500 barre di sapone».
Inoltre, approfittando della riduzione delle attività pastorali, sono andati avanti i lavori di costruzione della cappella di Santa Maria nel villaggio di Três Kilometros. «La gente del posto ha fatto la sua parte, riunendosi ogni domenica per fabbricare mattoni di fango e cemento e per altri lavori in modo da raggranellare qualche soldo per la costruzione. Hanno partecipato diversi adulti, ma soprattutto giovani e adolescenti». Ora, grazie alle offerte di diverse persone, i missionari stanno cercando di portare a termine la costruzione. «Ma ancor prima di finire la chiesa, già celebriamo la Messa al suo interno. Qui sono solito venire anche a fare la catechesi e l’adorazione eucaristica. E, a volte, la comunità si riunisce anche senza il sacerdote per pregare».
Ma per una cosa che si costruisce, un’altra va distrutta. «Durante la stagione delle piogge il forte vento ha portato via il tetto di una cappella in un villaggio e di una scuola che stavamo aiutando a costruire. Anche in questi casi, grazie alla generosità di alcuni benefattori, siamo riusciti a sistemare tutto abbastanza velocemente». E ora, con il contributo del Pime Usa, i missionari stanno ingrandendo la chiesa di São Domingos. E grazie alla Fondazione Pime di Milano sono stati realizzati due pozzi e un serbatoio per rendere l’acqua accessibile alla gente dei quartieri.
Ma un impegno a cui padre Célo tiene molto è quello con i bambini. «La pastorale con i più piccoli – ammette il missionario – ha ripercussioni su tutta la famiglia. Anche perché, con alcuni leader di comunità, incontriamo regolarmente le mamme con cui facciamo anche momenti di formazione. Inoltre, pesiamo i bambini, verifichiamo che non siano malnutriti e distribuiamo del cibo particolarmente nutriente, ricco di proteine». L’analfabetismo, soprattutto tra gli adulti e in particolare tra le donne – particolarmente svantaggiate nell’accesso all’istruzione – è un gravissimo freno allo sviluppo. «La pastorale dei bambini, nella nostra parrocchia, è un lavoro estenuante, ma sta già dando molti frutti e ha salvato molte vite di madri e bimbi, direttamente o indirettamente, andando così oltre l’obiettivo della pastorale stessa».
Il problema è che, una volta cresciuti, molti adolescenti e giovani “spariscono”. E così la comunità cristiana è in continuo cambiamento e rinnovamento. Anche perché è formata pure da molte famiglie di passaggio, come quelle dei funzionari pubblici o degli insegnanti, che vengono mandati a lavorare a São Domingos. I cattolici in questa zona rappresentano circa il 5-6% della popolazione. Da quando è nata la parrocchia nel 2002, ci sono stati 50 battesimi, soprattutto di giovani. La maggioranza della popolazione segue la religione tradizionale, ma ci sono anche molti musulmani e soprattutto tanti cristiani seguaci di Chiese pentecostali spesso di origine brasiliana e molto aggressive. «Giocano con le necessità del popolo – dice padre Célo, che da brasiliano conosce bene le dinamiche di questi movimenti -. Qualcuno lascia la Chiesa cattolica per questi gruppi, ma poi tanti tornano disillusi».
I giovani, invece, spesso non tornano più. Ma a causa delle migrazioni interne. «Sognano la città e se ne vanno a Bissau, nella capitale, attratti da prospettive di studio e lavoro che spesso però non si realizzano. Anche lì, infatti, non ci sono molte possibilità. Ma i ragazzi non vogliono più lavorare la terra o fare lavori manuali. In parrocchia abbiamo una carpenteria all’interno di un centro di formazione professionale, ma nessuno si iscrive. Abbiamo ancora una lunga strada e molto lavoro da fare per arrivare a promuovere un vero cambiamento di mentalità. Non possiamo scoraggiarci. Ma soprattutto dobbiamo continuare a farci guidare dalla luce del Vangelo».